Memoria di ARMIA

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    Con questo racconto, che è la chiusura della serie della "Valle incantata", chiudo il mio rapporto con "Armia" e con tutti gli altri siti, in quanto ho deciso di non scrivere più nulla.


    Un affettuoso abbraccio a tutti voi.


    19 Gennaio 1949





    La notte era giunta al termine tra raffiche di vento gelido, ma ancor prima che l'aurora violasse il cielo il vento si chetò, e le nubi, che da qualche giorno opprimevano la valle, si squarciarono lasciando filtrare un raggio di luce che illuminò sfarzosamente la quercia.

    In quell'alba di attesa silenziosa, improvvisamente si materializzò una figura di donna con il capo chino e le braccia serrate alle spalle, e quando sciolse le braccia e sollevò lo sguardo alla ricerca di visioni mai dimenticate, urlò con voce ferma.
    – Sono tornata a riprendere il mio cuore... Holy ti prego, non lasciarmi sola
    – Non sei sola! – Rispose Holy che l'accolse in un abbraccio lunghissimo.
    – Lasciai una ragazza coraggiosa e ritrovo una splendida donna. – Disse Sara carezzandole il volto – Mio dio che bella sei! Nel tuo volto si rispecchiano i bagliori del cielo
    – Il mio è anche il tuo volto
    – Cos'è accaduto alla mia dolce Holy? Hai avuto il tuo bambino?
    Holy annuì piegando le labbra in uno sorriso – Anch'io lasciai un pulcino e ritrovo un splendido cigno
    – Scherzi? Ho soltanto diciassette anni
    – Cos'hai fatto in questo tempo?
    – Sono andata qua e là per il tuo mondo
    – Sola?
    – Con Mary, ti ricordi di mia madre?
    Holy annuì – Dimmi di te
    – È di te e del tuo bambino che dobbiamo parlare...è bello?
    Il volto di Holy divenne improvvisamente serio.
    – Ho forse detto qualcosa che non dovevo? – Chiese Sara
    – No, va tutto bene
    – Scusami, non dovevo disturbarti con i miei problemi
    – Ameth è anche un mio problema
    – Lui riguarda soltanto me e la mia coscienza
    – Cosa ti accade piccola mia? Tu non sei così, sei dolcissima. Non puoi aver perduto la tua magia
    – Ssst, fai silenzio – Disse Sara indietreggiando fino ad urtare con la schiena il fusto della quercia – Per favore Holy vattene! – Supplicò voltandole le spalle – Non farti odiare!
    Holy si avvicinò a lei stringendola a se per le spalle
    – Ricordi quand'ero una bambina così testarda da non voler vedere la realtà? Eravamo qui, ai piedi di quest'albero. Ricordi con quale amore mi guaristi? Tu non potrai mai odiarmi
    Sara si voltò rifugiandosi nel suo abbraccio.
    – Holy perdonami, non volevo…io ti amo, ma il suo richiamo è così potente, e io sono così debole
    – Tesoro sai bene che non puoi restare con lui
    – Sono pronta a rinunziare a tutto
    – Anche al tuo popolo? Oh Sara, il tuo popolo dunque non merita il tuo rispetto?
    – Non più
    – Ma è la tua gente
    – Non è vero. Per loro non sono mai stata nulla. Sarei potuta morire mille volte e nemmeno se ne sarebbero accorti. Il mio popolo è qui sulla Terra… Ed io resterò con loro fino alla fine
    – A loro spetta un altro mondo, e tu dovrai darglielo
    – Dovrei dare loro un mondo avviato alla fine?
    – Il vostro compito è di ridare vita al pianeta
    – Sai qual è la cosa buffa? Questa gente meriterebbe davvero tornare a casa, ma io non lo farò
    – Tu non sei il loro dio, non puoi arrogarti questo diritto. Su questo pianeta non c'è posto per voi
    – Non è vero! Qui è già vissuta una razza eletta
    – La legge non ve lo permetterà
    – Io mi opporrò alla legge. Io voglio vivere
    Holy le accarezzò i capelli – Ciò che è nato nel tuo cuore deve essere meraviglioso se può imporre un freno alla tua natura suprema, ma il tuo dovere va oltre l'amore per tuo padre.
    – Oh misere noi se dovessimo pensare a questo sentimento come ad un semplice dovere
    – Tra poco più di un anno la tua natura riprenderà il dominio, e se non avrai abbandonato la Terra rischierai di annientarla
    – Quella natura è un abito che non riesco più ad indossare
    – Se insisterai in questa follia con te morranno tutti i nostri progetti
    – So bene che saranno in molti a pagare per il mio peccato, ma io voglio vivere fino all'ultimo istante come una semplice donna. Voglio amare, voglio avere un figlio tutto mio. Vi prego, riprendetevi la potenza che avete voluto donarmi
    – Oh bambina! È così importante questo amore? Per lui abbandoneresti tutto?
    – Ti prego, ti prego. Il mio cuore non vuole rinunciare a saper piangere
    – Sara amore mio, non ti è permesso
    – Ed è permesso che un cuore muoia? Perché è ciò che accadrà se dovrò lasciare la Terra
    – Apri la mente amore mio e concedimi di ridarti la pace
    – No, non violarla, lascia che i miei ricordi muoiano con me
    Holy chiuse gli occhi mentre il suo volto impallidì. – E sia. – Mormorò riaprendoli – Ti è stato concesso, ma dovrai rispettare un patto
    – Lo farò, e ve ne sarò riconoscente anche quando sarò un pugno di atomi sparsi nell'infinito… dimmi cosa debbo fare
    – Dovrai seguirmi nel mio tempo
    – Perché? Non vi è nulla che mi leghi al tuo tempo
    – Vi è un uomo che ha delle cose da dirti
    – Cosa può dirmi un uomo che io già non sappia?
    – Egli conosce il segreto del libro della verità
    – Non ha più senso, ormai ho fatto la mia scelta
    Holy scosse il capo – Vorrei poter entrare nella tua mente per comprendere
    – Non farlo – Sussurrò Sara mentre alcuni fiocchi di neve iniziarono a cullarsi nell'aria ferma e al di la della siepe si udirono rumori di passi sulla neve.
    Lasciata la mano di Holy, Sara scivolò a sedere sull'erba distendendo le gambe con gran sollievo.
    – Ahhh le mie gambe!
    – Cos'hanno le tue gambe?
    – I medici dicono che è artrite... Li hai sentiti?
    – Si, sono i nostri amici. Ma non verranno a salutarci – Sussurrò chinandosi di fronte a lei – Hai freddo? – Chiese
    – Scherzi? Sono a casa mia. Guarda le mie montagne... e i miei alberi? Hai mai visto nulla di più splendido?
    – Si, ho già visto alberi e montagne
    – Ti sbagli amica mia, ciò che stai guardando sono scale che possono accostarci al cielo, e se gli uomini cessassero di farsi del male e salissero quei gradini… chissà, forse potrebbero far colazione con dio
    – Smettila! Fare colazione con dio. Questa è davvero grossa – Mormorò Holy sorridendo e scuotendo il capo
    – Ssst, ascolta come il mattino viene avanti lentamente. Questa mia terra è l'unico spazio in cui è possibile raggiungere il vero significato della vita… Un giorno Pà mi chiese se sapessi come debbono vivere gli uomini…
    – Conosco il pensiero di Socrate, – Sussurrò Holy “Se vogliamo veramente comprendere chi e cosa ci circonda, dobbiamo vivere nella ricerca del dialogo e nel confronto tra liberi scambi di vedute” – ma in questo momento la filosofia potrebbe causarci danno, non abbiamo molto tempo
    – Guarda, la nebbia si sta alzando, ed ora vedrai che inizierà a nevicare... Fa sempre così
    – Sara dobbiamo andare
    – Perché? – Mormorò con voce triste Sara
    – Hai fatto una promessa
    Sara le tese le braccia e alzandosi mormorò – Sia fatto ciò che dev'essere

    II°

    Al centro di un vasto atrio illuminato, era posta una lucente sfera di circa trenta metri di diametro.
    – Seguimi – Disse Holy avviandosi verso la sagoma circolare e oltrepassandone i contorni
    – Cos'è? Una casa? – Domandò Sara
    – È il nostro trasporto. Poi ti spiegherò

    Sara la seguì in un ambiente lievemente rischiarato in cui le pareti e il soffitto sembravano essere un tutt'uno senza la minima interruzione di continuità.
    Il suo corpo gravava su di un pavimento composto di una sorta di materia che non dava alcuna sensazione di concretezza.
    Con una mano sfiorò una parete senza riuscire a percepire alcunché di solido, e mentre le tornarono alla mente le stranezze vedute sui mondi appartenenti al 7° Anello, Holy la raggiunse con una emissione neuronica.
    – Non allarmarti, va tutto bene

    Sara annuì riprendendo a seguirla.
    Senza alcun preavviso l’ambiente si trasformò in un ampio locale illuminato di una luce dai toni rossi sfumati, il cui centro era occupato da una struttura di forma indefinibile su cui occhieggiavano minuscole luci colorate.
    Improvvisamente e senza alcun rumore le due estremità della struttura ruotando su se stesse lasciarono intravedere, in ognuna, un alloggiamento cilindrico.
    Holy si accostò alla struttura centrale, e dopo che ebbe eseguito alcune operazioni manuali si udì nell'aria una vibrazione sommessa.
    – Questo trasduttore si prenderà cura dei nostri corpi – Disse rivolgendosi a Sara
    – Quale condizione usa?
    – Immetterà nel sistema temporale parte della nostra energia
    – Ho usato anch'io questa condizione, ma non è la più veloce. Occorrerà molto tempo per concludere il trasferimento. Perché non usiamo le cellule?
    – Potremmo, ma nel caso finissimo in un vortice tu potresti non avere il tempo di rientrare in questo spazio
    – Quanto tempo avrò a disposizione
    – Dal momento in cui inizierà la trasduzione avrai a disposizione un ciclo di ventiquattro ore terrestri
    – Lo sai che Ameth è in grado di seguirci?
    – Lo so, ma questa volta non rischieremo
    – Perché?
    – Perché è già nel mio tempo… Ma ora finiamola di fare chiacchiere, ci aspetta un bel viaggio
    – Usando questo trasduttore anch’io tornerò a far parte della legge, e questo potrebbe arrecarmi danno
    – Puoi stare tranquilla, ti è stato concesso di tornare
    – In quale periodo temporale ci trasferiremo?
    – Esattamente 1923 anni a ritroso nella curvatura del tempo
    – È un tempo troppo breve per avere la certezza della precisione
    – Questo trasduttore è in grado di operare gli scarti necessari
    – Posso farti una domanda?
    – No… Ora inserisciti nel nucleo e rilassati, al resto provvederò io. Siamo intesi?

    Sara annuì ubbidiente, e quando il ciclo si concluse e lei percepì il suo corpo riacquistare tutti i suoi sensi, si guardò attorno trovandosi ad osservare un luogo avvolto in una luce rossa e morbida.
    Al suo fianco Holy la rassicurò con un sorriso. – Ora seguimi – Disse avviandosi lungo un sentiero pietroso
    Soltanto allora Sara si rese conto che Holy indossava un abito scuro, stretto in vita da una cintura sottile che la copriva fino alle caviglie e sulla spalla aveva appesa una sacca di stoffa chiara.
    – Ma che abito indossi? Sei buffa!
    – È l'abito che indossano le donne del mio tempo
    – Mi ricorda la mia prima veste da notte che pà ricavò da una delle sue camicie. Non deve essere molto comodo
    – Senza questi abiti non potresti passare inosservata – Soggiunse Holy aggiustandosi la veste
    Colta da un improvviso sospetto Sara abbassò lo sguardo, scoprendo così d’indossare una tunica del tutto simile a quella di Holy.
    Il sole, che avviandosi al tramonto incendiava le nuvole basse, richiamò alla sua mente il ricordo delle infinite sere trascorse sulla collina ad osservarlo dipingere di rosso vermiglio gli alberi della valle.
    – “Dove sei papà!” – Sussurrò mentalmente – “Dimmi una sola ragione perché io debba esserti così immensamente distante”
    Holy si voltò scuotendo il capo – Non usare la mente! Stai causando distorsioni temporali
    – Scusa – Sussurrò Sara sobbalzando
    – Questo non è il tuo spazio, non puoi immettere in questo tempo uno status mentale diverso
    – Farò attenzione
    – E ricordati del tempo di cui disponi. Prima che scada dovrai essere nuovamente nel tuo spazio
    – E tu?
    – Io non corro alcun pericolo, questo è il mio tempo
    – Cosa accadrebbe se restassi con te?
    – Meglio non pensarci
    Sara le sorrise mormorando – Non preoccuparti, nulla di questo spazio riuscirà a tenermi lontana da mio padre
    – Non esserne così sicura, devi ancora incontrarlo
    – Il tuo uomo non m'interessa

    Holy la guardò con un sorriso amaro sulle labbra, e prendendola per la mano sussurrò – D'accordo, non ti interessa
    Ripresero il cammino in silenzio fin quando Sara, lasciata la mano di Holy, si fermò per dedicare la sua attenzione verso migliaia di uccelli in volo che andavano associandosi, ora in un unico austero stormo folto al centro, ma sbrindellato agli orli, e subito dopo scomponendosi in strani arabeschi simili a nuvole capricciose mosse da un impetuoso vento.
    – Holy! Guarda quanti uccelli! Ehi! Dove cavolo stai andando! – Urlò notando che Holy si era allontanata in direzione di alcune case basse che s'intravedevano nella luce rossa del cielo.
    La raggiunse ai margini di un alto argine pietroso al di sotto di cui si estendeva una vasta distesa d'acqua brillante.
    – Porca vacca! Con quest'affare indosso non si può proprio correre – Disse con il fiato grosso indicando la tunica che teneva sollevata fin sopra le ginocchia
    – Lascia giù la veste, le donne di questa terra non scoprono le gambe – l'ammonì Holy con tono severo
    – Scusami... Cos'è quello, un mare?
    – Lo chiamano mare per via dell'acqua salata, ma in realtà è un lago
    Improvvisamente a Sara tornò il ricordo di un momento già vissuto
    – Sono già stata qui. – Sussurrò – Di questo luogo ho un ricordo che fa male... Odo ancora esplosioni e urla di una guerra che ha radici lontane nel tempo
    – Cosa ricordi?
    – La legione araba, l'haganah, Israele… Siamo in Palestina?
    – È sull'altra sponda del lago. Cos'altro ricordi?
    – Uomini troppo giovani per morire
    – Chissà se un giorno avrà fine tutto quest'odio
    – Un giorno… – Rispose lei con un filo di voce – ma sarà sempre troppo tardi. Troppe vite verranno immolate alla stupidità… e a pagare saranno soltanto i bambini. Ne vedo tanti, scalzi, mal vestiti, con la fame dipinta sul volto e tante pietre... Tanto amore e tanto odio
    – Eri con loro?

    Sara annuì
    – Questa gente non conosce la felicità, per loro ho potuto fare ben poco, troppo odio li divide e non sanno di avere un'unica matrice. Si, ho vissuto con loro, mangiato il loro pane, sepolto i loro morti e curato le ferite dei loro corpi, ma non mi hanno permesso di guarire le loro anime. Ho vissuto lo strazio di due popoli senza patria
    – Ora Israele è una nazione libera
    – Libera, ma non giusta. Hanno dimenticato che debbono ancora fare i conti con dio
    Più avanti discesero alcuni gradini, ricavati nel roccia, dirigendosi verso la sponda del lago in cui si stagliavano nitide le sagome di alcune barche dipinte di vivaci colori.
    Alcune capanne riempivano il breve tratto di terreno che dal costone roccioso raggiungeva l'estremità di un breve molo realizzato su palafitte, e che terminava a ridosso d'un panciuto battello sul quale si notava gente e si udiva un gran vociare e sgarbate risate.
    – Dovremo imbarcarci anche noi – Sussurrò Holy
    – Per andare dove?
    – Gerusalemme
    – Ed è li che lo incontreremo
    Holy annuì senza rispondere.
    – Ci aspetta?
    – Aspetta te – Sussurrò Holy carezzandole il volto
    – Holy! – Esclamò allarmata Sara
    – Ssst, sei una donna araba, ricordalo
    – Ameth è qua! – Disse sottovoce
    – Lo so cara, lo so! Sta vincendo la sua battaglia. – Rispose Holy con voce triste facendole cenno di fermarsi – Ora siediti e aspettami
    – Dove vai?
    – A domandare il permesso d'imbarcarci
    – Abbiamo bisogno di un permesso?
    – Per le donne del mio popolo non è ancora giunto il tempo della libertà
    – Vuol dire che potrebbero...
    – Due donne sole in viaggio rischiano molto, e il proprietario del battello potrebbe scegliere di non esporsi
    – Cosa dovrai fare per convincerlo
    – Qualche moneta sarà sufficiente a cancellare la sua paura
    – Mi auguro che non si convinca
    Holy la guardò sorridendo, e avviandosi verso il battello mormorò – Per il bene dell'universo spero proprio che avvenga il contrario
    Holy si fermò nei pressi del battello a parlottare con un uomo seduto sulla pedana, e poco più tardi s'imbarcarono sistemandosi a poppa tra casse e ceste colme di verdure.
    La brezza, che nel frattempo era rinforzata, increspando l'acqua del lago accentuò il beccheggio del battello e il disagio di Sara.
    – Sei tranquilla? – le chiese Holy
    – Sto tremando
    – Hai freddo?
    Sara scosse il capo sussurrando – Ho fifa
    Holy estrasse dalla sacca un telo con cui le avvolse le spalle
    – Questo ti scalderà. Resta tranquilla, non accadrà nulla

    Sara annuì, ed Holy la strinse forte a se iniziando a recitare una filastrocca.
    Trasportata dalla brezza giunse fino a loro il vociare della gente che discuteva di una certa crocifissione che sarebbe dovuta avvenire il giorno successivo.
    – Di cosa parlano? – Domandò Sara
    – Di un uomo che dovrà essere crocifisso
    – Perché fanno questo ad un uomo?
    – È stato condannato a morte
    – Holy nessun uomo può arrogarsi questo diritto – Mormorò Sara sollevando il capo
    – Lo so, ma tu non ascoltarli, sono soltanto chiacchiere
    – Holy! – Chiamò a bassissima voce Sara
    – Si?
    – Tu conosci quell'uomo?
    Holy annuì lievemente senza guardarla.
    – Chi è?
    – Lo chiamano il Nazareo
    Notando un leggero tremore nella sua voce Sara sollevò lo sguardo cercando una risposta negli occhi di Holy.
    – Holy cos'hai? Sei turbata
    – Non è nulla
    – Oh mio dio! È lui l'uomo che debbo incontrare?
    Holy annuì sostenendo il suo sguardo.
    – Perché lo uccidono, qual è la sua colpa?
    Holy non rispose, ma i suoi occhi si colmarono di lacrime.
    Sara parve non comprendere il motivo di quelle lacrime che scivolavano pigre sulle guance dell'amica, ma poi, come folgorata da un improvviso ricordo, rovesciò all'indietro il capo emettendo un gemito soffocato
    – Dio mio, dio mio!

    Per impedirle di urlare Holy la strinse a se premendole il volto sul seno, proprio mentre il battello, spinto da un vento leggero, si staccava silenzioso dalla banchina.
    – A chi dovrò chiedere perdono – Singhiozzò disperata Sara
    – Ssst, calmati
    – Perché ho permesso che accadesse ancora?
    – Non è per noi che sta sacrificando la sua vita, ma per la sua gente
    – Mi dici cosa ce ne facciamo della nostra natura se non riusciamo a salvarlo?
    – Noi non possiamo fare nulla. Ameth ci ha scaraventate fuori della logica, e se tuo padre non ti avesse spinta sulla Terra non ci saremmo mai riunite
    – Mio padre… Quanta magia in questa parola. Sapessi quante volte avrei voluto gridarla. Tu ne conosci il senso? Sai cosa vuol dire?
    – Dio?
    – No, significa uomo. Un insieme di carne e sangue di cui t'innamori al punto di sentirti male se non ti rivolge la parola
    – È lo stesso sentimento che provai per mia madre
    – Dunque è vero… L'amore degli uomini non è soltanto dovere
    – No, non lo è… ed ora tu puoi tornare da tuo padre. Questo viaggio non è più necessario
    – Guai se tornassi da lui senza averlo stretto tra le braccia, non me lo perdonerebbe
    – Torna indietro… o soffrirai
    – Lo so, ma lui mi ha preparato a questo incontro
    In quell’istante un uomo, dagli occhi grigi e quasi chiusi per la fatica e il tempo, si sedette accanto a loro sul fondo della barca, e per qualche istante, mentre le osservava, i suoi occhi lasciarono trapelare soltanto sogni, sorgenti d'acqua e giorni infiniti.
    – Il mio nome è Giuseppe d'Arimatea, – Mormorò sistemando meglio la schiena e il turbante – e se le mie povere gambe me lo consentiranno domani sarò a casa
    – Accomodatevi. – Replicò Holy – Distendete pure le gambe
    – Va bene così grazie, quest'angolo è tranquillo...
    – Non vi disturberemo – Soggiunse Holy
    – Alla mia età si gradisce sempre più la compagnia del silenzio, e voi…– Improvvisamente s'interruppe –…Cosa le è accaduto? – Chiese indicando con un gesto del capo Sara che stretta al corpo di Holy singhiozzava disperatamente
    – È molto scossa… ed ha paura dell'acqua – Rispose Holy stringendola a se
    – Forse preferite restar sole
    – Vi prego no! Restate – Si affrettò a rispondere Holy – È così giovane...la vostra presenza la tranquillizzerà
    L'uomo chinò il capo in un gesto di riconoscenza prima di chiedere – Posso chiedere qual è la vostra meta?
    – Betania e poi Gerusalemme
    – Avete intrapreso questo viaggio da sole?
    – Si signore
    – Allora è vero! – Esclamò l'uomo – Neppure gli dei possono nulla contro la stupidità degli uomini
    – È soltanto un breve viaggio – Osservò Holy sorridendo
    – La vita è un breve viaggio, ciò che avete intrapreso è soltanto un'idea infelice. Possibile che nessuno vi abbia messo in guardia dai pericoli che potreste correre? Questi non sono tempi in cui donne sole possono viaggiare tranquille
    – Confidiamo nella nostra buona stella
    – Mi sono sempre chiesto cosa lasci pensare agli uomini di essere superiori alle loro donne
    – Il nostro uomo è a Gerusalemme
    – Capisco, e può un vecchio rudere darvi un consiglio?
    – Ve ne saremmo grate
    – Tra qualche ora saremo sull'altra sponda, ma voi non sbarcate. Parlerò io al padrone, lo conosco è un buon uomo. Potrete unirvi al resto delle donne della carovana. Sarete in molti, e molta gente non si attacca mai
    – Temete per la nostra salute?
    – Ve l'ho detto, non sono tempi tranquilli. Farete contento un povero vecchio?
    – Faremo come dite… e voi? Resterete?
    L'uomo scosse il capo – Il mio tempo ha un colore diverso dal vostro, ormai io vivo all'ombra del mio passato, e se vorrò giungere in tempo a Gerusalemme non posso permettermi soste
    Udendo quel nome Sara sollevò il capo, e cercando nel crepuscolo il volto dell'uomo chiese con un filo di voce
    – Andate per la crocifissione?
    – Oh… si, in un certo senso – Commentò lui annuendo
    – Non si fa tanta strada per veder morire un uomo
    Il vecchio le sorrise – È vero, ma non vado per veder morire un uomo. Nella mia vita ne ho viste fin troppe di morti. Torno a casa per comprendere perché muore il figlio di un dio
    – Nella morte vi è soltanto dolore e rimpianto, e se dio ha scelto di far morire suo figlio come un uomo, allora in quella morte non può esservi nulla che non possa essere compreso
    – Ho ancora molto da imparare e da farmi perdonare – Mormorò lui –
    – È dunque il perdono ciò che cercate?
    L'uomo annuì lentamente.
    – E credete di meritarlo? – Chiese ancora Sara
    L'uomo si strinse nelle spalle – Questo dovrà giudicarlo lui
    – Cosa avete fatto a quell’uomo? – Lo incalzò lei
    – L’ho tradito per mantenere i miei privilegi
    – E come pensate di guadagnare il suo perdono?
    – Offrendo al Nazareo la tomba della mia famiglia
    – È forse vostro parente? – Chiese ancora Sara
    Le labbra del vecchio si piegarono al sorriso – No, non ci lega alcuna parentela di sangue
    – Allora per quale ragione desiderate rischiare il vostro credito? Lui non ve lo ha chiesto
    – No, non me lo ha chiesto… ma un tempo fu mio maestro
    – Voi siete Esseno? – Chiese lei dopo una breve pausa
    – Ssst, – Sussurrò l'uomo guardandosi attorno – qualcuno crede che tra noi e gli Zeloti vi sia un'intesa
    – E non lo è?
    – Per l'amor del cielo! Noi non siamo immorali assassini
    – Allora cosa siete? Guaritori?
    L'uomo divenne serio, poi con voce lieve mormorò – Tu Myriam sai bene cosa siamo
    – Non è questo il mio nome – Replicò lei senza distogliere lo sguardo dagli occhi del vecchio

    Holy la strinse a se, e prima ancora che l'uomo potesse proferir parola mormorò – Perdonatela, è ancora una bambina
    L'uomo le guardò per un lungo istante prima di riprendere a parlare con voce bassissima
    – Ho l'impressione che mi abbiate raccontato una bella storia, e che non andiate affatto a Betania
    Holy stava per rispondere quando lui la zittì con un cenno della mano
    – Ssst, lascia che sia io a parlare – Sussurrò chiudendo gli occhi come se volesse raccogliere le idee, e quando li riaprì il crepuscolo era carico d'un color malva leggermente tinto di giallo e di bianco – Da troppo tempo non sono altro che un corpo in cerca della verità e del perdono senza esserne capace di riconoscerli. Tuo figlio mi ha indicato la via, ed io ho creduto di trovare la pace nel deserto di Qumran slegando la mia vita dai luoghi comuni e dagli oggetti che si sgretolano appena li tocchi
    – Avreste potuto restare dov’eravate
    – Qualcuno mi chiama a Gerusalemme per aprire la casa della morte... e voi… – L'uomo sorrise, e come se stesse parlando a se stesso mormorò – Chissà perché continuo a vedervi al plurale quando so che siete un'unica entità
    Mentre sussurrava queste parole il chiarore della luna mise in risalto i suoi occhi grigi, ora fermandone lo sguardo ed ora animandolo di colore, e Sara, dopo essersi sfiorata le labbra con una mano la pose su quella dell'uomo stringendola lievemente.
    – Grazie Giuseppe. – Sussurrò – Per questo sarai ripagato

    Quando il battello ancorò assai lontano dalla riva, l'uomo dagli occhi grigi si sollevò restando in ginocchio. Poggiò una mano alla spalla di Holy e, mentre con l'altra tentò inutilmente di nascondere i tratti del volto, disse con voce roca
    – Saremo più poveri quando lui non sarà più, e forse un infinità di cose, di storie e di sogni morranno con lui
    – Non morranno. – Rispose Sara sorridendogli
    – Oh Myriam, che il cielo possa ascoltare le tue parole, – Replicò lui con voce ferma e congiungendo le mani – e se per noi tuo figlio ha camminato nel deserto, noi ci opporremo al tempo affinché il suo verbo non si trasformi in cenere e oblio
    Pronunciate queste parole, e dopo essersi aggiustato il burnus bianco, ormai logoro e sporco che lo avvolgeva, si sollevò in piedi avviandosi con passo incerto verso prua dove una piccola barca lo attendeva per traghettarlo a terra.
    – Perché mi ha chiamata Myriam? – Chiese Sara rivolgendosi ad Holy
    – È una storia interessante. Un giorno qualcuno te la racconterà
    – Chi è Myriam? – Chiese ancora con voce decisa
    – Cosa conosci delle scritture
    – In questo momento credo di non ricordare granché
    – In alcune vi si narra delle uniche tre donne totalmente pure che hanno posto piede su questo pianeta, e una di loro è Myriam, la madre del profeta di nome Gesù
    – Ed è vero?
    Holy annuì coprendola con il telo – Si, ma ora cerchiamo di riposare, domani avremo d'affrontare un lungo viaggio

    Alcune ore più tardi, scortata da uomini in armi, la carovana iniziò un viaggio che, a causa di frequenti deviazioni, si protrasse più del dovuto.
    Per tutto il tragitto Sara rimase preda di un mutismo preoccupante, rifiutando ogni volta di prendersi un po’ di riposo sulla groppa di un cammello, preferendo percorrere quel doloroso cammino con le sue sole forze.
    – Togli almeno i sandali. – La invitò inutilmente Holy – Nella sabbia ti lacereranno la carne – Ma non ci nulla da fare, lei proseguì senza un lamento e senza mai dare l’impressione di comprendere cosa stesse accadendo. E soltanto quando ai suoi occhi apparve Gerusalemme (Illuminata in tutto il suo malinconico splendore da una insolita aurora) che sembrò riprendere il contatto con ciò che la circondava.
    – È incantevole. – Sussurrò osservando la simmetrica incoerenza delle basse case – È questa la città in cui vivi? – Chiese rivolgendosi ad Holy
    – Lo è ora – Rispose lei tentando d’interpretare la viva luce che sembrava essersi accesa nei suoi occhi
    – Ispira pace – Proseguì Sara lasciando scorrere lo sguardo sull’intera città
    – All'occhio del viandante che non s'avvede, prima di varcar l'angusta porta, osservi l'alta torre e il cor saprà cos'è il terrore
    – Holy! Non sapevo che amassi la poesia – Esclamò Sara osservandola divertita
    – Se avessi fatto attenzione avresti notato questa iscrizione sulle mura della locanda che ci siamo lasciata alle spalle
    – Qual è il senso di queste strane parole?
    – Osserva alla tua sinistra e dimmi cosa provi
    Seguendo l'indicazione Sara spostò lo sguardo sul profilo massiccio e tetro della torre Antonia, e subito una fredda oppressione la disturbò, come se quell'oscura costruzione pretendesse d'imporle la sua sinistra presenza.
    – Perché questo senso di dolore? – Chiese sottovoce portando le mani al seno
    – In quella casa d'uomini vi abita il terrore
    – Fa male qui – Mormorò battendosi il petto
    – Lo so, ma ora raschiala dalla tua mente e seguimi
    – Aspetta! Dimmi perché non sopporto questo dolore?
    – Te ne parlerò strada facendo
    Tenendosi per mano, e seguendo un flusso di gente che le guidò a superare alcuni campi incolti oltre il ponte di legno sul torrente Cedron, si trovarono, poco dopo l'ora nona nell'orto del Gethsemani, ai piedi di una bassa collina pietrosa, sulla cui sommità, confusa da quella singolare luce del cielo, si stagliava la figura di una lunga scala addossata ad una delle tre croci, e ai suoi piedi un capannello di quattro o forse cinque persone immobili come statue di pietra
    – È lassù? – Domandò Sara con voce roca
    Holy le strinse la mano annuendo.
    – È morto? – Chiese ancora
    – Lo è per gli uomini
    – Andiamo – Mormorò lei lasciando la mano di Holy
    – Fermati! Non puoi andar lassù. Tra non molto deporranno il suo corpo nel sepolcro, e noi dovremo esserne all'interno prima che sia chiuso
    – Dov'è?
    – Laggiù – Rispose Holy indicando con un cenno del capo la parte bassa dell'orto
    – Vi sono dei soldati
    – Non ti preoccupare, noi entreremo

    Mentre percorrevano il sentiero, che scendeva verso la parte bassa del Gethsemani, tra un groviglio di gente e di legionari che si muovevano senza badare a loro, Sara fu costretta a chinarsi per allentare la stringa di un sandalo che le aveva trinciato la carne dal piede, ma nell'istante in cui si risollevò, si trovò a fronteggiare una pattuglia di miliziani che saliva verso le croci.
    Per un attimo il suo cuore si strinse in un'angosciosa paura, ma ancor prima che quegli uomini potessero raggiungerla, Giuseppe, l'uomo del battello, l'afferrò per le ascelle trascinandola su di un lato del sentiero.
    Per un lunghissimo momento si guardarono in silenzio, poi, chinato il capo, Sara si avviò a raggiungere Holy che, poco più avanti, si era fermata ad osservare la scena.
    – Hai visto? Era Giuseppe – Sussurrò Sara
    – Si, ho visto, – Replicò Holy prendendola per la mano – ma ora affrettiamoci

    Quando la pesante pietra rotolò bloccando l'ingresso della cava, nel locale, fiocamente illuminato dalla luce di una torcia e pervaso di una così soave fragranza di mele che nessuna dolcezza terrestre poteva esserne di paragone, scese un silenzio ronzante.
    Trascorse un tempo lunghissimo, e quando dall'esterno non giunse più alcun rumore Sara uscì dall'ombra.
    Con passo lento raggiunse il corpo dell’uomo (Raccolto in una nicchia scavata nel tufo) avvolto in un drappo sul quale erano visibili vaste chiazze vermiglie.
    Obbligando se stessa al dominio delle mani sollevò un lembo del telo e, per un istante, alla vista del volto pallido e sofferente dell'uomo, il suo corpo ondeggiò come se stesse per perdere l'equilibrio
    – Cosa ti hanno fatto bambino mio – Sussurrò liberando gli occhi dell'uomo delle dilepton lituus che rotolarono sul terreno
    Al suono della sua voce l'uomo sollevò le palpebre mostrando due occhi neri che la fissarono intensamente – Madre che gioia! – Mormorò con un filo di voce
    – Cosa ti hanno saputo fare – Sussurrò lei chinandosi per baciarlo sulle labbra
    – Madre finalmente
    – Il mio bambino... Ssst, lascia che la mamma assorba il tuo dolore
    – Ho fallito ancora madre, ma è così difficile
    – Ssst, ti prego non ingigantire la mia colpa. Sono io che supplico il tuo perdono per averti abbandonato
    – Tu sai che dovrà esserlo ancora perché ho avuto paura... ma sapessi com'è difficile morire come un uomo… quando credi d’essere stato abbandonato
    – Ora è tutto finito. La mamma sa come curare le tue ferite. Ricordi quando le sera rientravi in lacrime dai tuoi giochi e ti abbandonavi a me lasciando che curassi le tue ginocchia?
    – Dovremo ricominciare, e tu dovrai ancora offrire la vita di tuo figlio
    – Oh no! Mille volte no. Non darò più mio figlio
    Lui tentò di sollevarsi, e nel farlo il sudario che lo avvolgeva si aprì scoprendo le orribili lacerazioni della flagellazione
    – Cerca tra gli uomini della Terra il tuo bambino – Sussurrò l'uomo – e dagli nome Adam se vuoi che lui possa aprire il libro della verità
    – Ssst, non parlare
    – Soltanto così potrai far tornare sulla fronte di Ameth il suo nome. Prometti che lo farai
    – Non puoi chiedermelo, io non voglio perderti ancora

    L'uomo sollevò la mano serrata a causa dei tendini strappati, e con uno sforzo che lo fece gemere l'aprì carezzandole il volto
    – Quando sulla croce imploravo che tutto finisse, ed egli seduto sulla mia spalla si beffava di me, mi parlò del suo amore per una bambina
    – Non è vero! Ti ha mentito. Egli cerca la sua vendetta, e pur di averla si è costruito un falso sentimento d'amore
    – Allora concedigli tuo figlio per il bene dell'universo
    – No! Non avrà mai più mio figlio
    Holy la scosse lievemente per le spalle – Sara dobbiamo andare, non puoi restare oltre. Il tempo che ti è stato concesso sta scadendo. Devi lasciarci o rischierai di rimanere per sempre in questo spazio
    – Ancora un poco – Rispose lei senza guardarla
    – Va madre, non rendere vana la mia morte
    – Nooo! – Gemette Sara
    – Ma non capisci? Dagli tuo figlio e tutto avrà fine
    – Mai! Prendesse me
    – Non lo farà, e se ogni verità ha un prezzo, tuo figlio è il valore della sua morte
    – No! – Singhiozzò lei portando al seno la mano dell’uomo
    – Non temere per me, avremo ancora tempo per amarci
    – Dovrà prima uccidere me se vorrà la tua vita… Io resterò sempre con te
    – Dio come lo vorrei… ma non puoi… Osserva come già l'aurora illumina il cielo invitando gli uomini ad avviarsi al tempio.
    – Oh no, non è l'aurora, ma il fuoco che scalda il corpo dei tuoi carnefici
    – Quello è il chiarore dorato che precede il levar del sole… Guarda come il suo vigore disperde le ombre della notte
    – Non è ancora l'alba, la tua mamma lo sa bene, credimi per pietà… Credimi
    – Com'è dolce la mia mamma quando racconta fiabe, ed io vorrei saper fermare il tempo per ascoltarla ancora
    – Vuoi dunque che ti dica addio sapendo che il mio cuore ne morrà? Davvero tu lo vuoi?
    – Si. – Sussurrò l'uomo con un filo di voce – Il mio destino s'è compiuto e tu non mi perderai, ma sarai sempre la padrona della mia vita, il mio eterno amore
    – No… non puoi chiedermelo… non ora
    – Oh luna, sorella mia. Non indugiare oltre, cedi il tuo letto al padre sole
    – No! – Urlò Sara disperata – Luna non farlo… non osare... non tradire una madre disperata… ma lascia che il tuo magico splendore saldi le mie braccia a lui affinché possano sostenerlo senza stancarsi. Oh figlio diletto, non chiedermi di abbandonarti ancora, non essere ingrato. Oh no! Perdona tua madre… è il dolore che le fa dire ciò che il cuore non sente. Tu sei il figlio che ha colmato la mia vita d'immensa gioia
    – Andiamo Sara, per favore! – Sussurrò Holy alle sue spalle
    – Holy, ma come puoi chiedermi di lasciare mio figlio morente? Io resto ad affrontare il suo destino. Sii buona, fa tu quello che deve essere fatto… Mio figlio sta morendo
    – Anche mio figlio sta morendo – Rispose Holy piangendo – Egli è carne della mia carne, e il mio corpo sta struggendosi di dolore al di la di quella pietra

    Sara tornò a guardare suo figlio, che spossato dalla fatica si era nuovamente disteso. – Non ti abbandonerò più bambino mio – Sussurrò
    – Devi lasciarlo. – Disse Holy con un filo di voce – Ora lui è con il padre, e tu non puoi fermarti
    Per un istante il volto di Sara espresse sgomento, poi si voltò a guardare suo figlio, e quando con quella parte d’istinto che soltanto una madre possiede, raggiunse la consapevolezza della sua morte, scivolò in ginocchio emettendo un urlo altissimo.
    – Nooo....dio perché l'hai voluto. Perché ti sei preso la sua vita? Non c'è dunque limite alla mia sofferenza? Tu hai voluto che fossi madre e ora mi togli il figlio… ma dov'è riposta la tua pietà? Credi davvero che esistano parole che sappiano esprimere il dolore che sta spezzando il mio cuore? Io non so più cosa farmene della tua natura se ogni volta dovrò vederlo morire. Dove potrò trovare il coraggio per guardare negli occhi un uomo per chiedergli un figlio e confessargli che lo lascerò morire di una morte atroce; inchiodato, straziato, ridotto a brandelli. Tu hai voluto che vivessi la tua valle per comprendere l'amore degli uomini, e ora io amo del tuo stesso amore. Ti supplico dio restituiscimi all'esistenza di una semplice donna. Rendimi all'amore di mio padre e mia madre. Ti prego, lascia che possa vivere tutte le gioie e i dolori di una vita mortale
    La stanza s'illuminò fortemente perdendo i contorni.
    Grondante di lacrime Sara si sollevò stringendosi ad Holy, e mentre una vigorosa brezza mosse l'aria, parole appena sussurrate colmarono il suo spirito.

    III°

    Il tempo si contrasse e si dilatò, e migliaia di generazioni di uomini calcarono la Terra lasciando ognuno un piccolo e differente segno.
    Discesa l'erta della collina Sara costeggiò ad occhi chiusi il meleto raggiungendo i grandi aceri che nascondevano la casa. Li superò lasciandosi guidare da un ricordo lontano, e quando li riaprì, sepolta in una spessa coltre di neve che le donava un aspetto così caro da serbarne il ricordo in eterno, apparve la sua casa in tutta la dolcezza di un ricordo infantile.
    Salì le scale della veranda e prima di entrare in casa, in un atto che per anni era stato l'inizio delle sue giornate invernali, con una mano spazzò la neve che ricopriva la balaustra.
    L'interno giaceva in una penombra silenziosa.
    Lentamente chiuse la porta poggiandovi le spalle, e nel tentativo di frenare il pianto serrò forte gli occhi aspirando l'aria per goderne i profumi frammisti.
    Riconobbe l'odore del legno antico dei mobili, l'aroma del tabacco e quello acre e umido dei ceppi che bruciavano, e mentre in quell'aria ferma le parve di riconoscere il buon aroma della carne che arrostiva sulla griglia, le tornarono tutti gli altri ricordi che ancora vivi aleggiavano nella sua memoria.

    Quando riaprì gli occhi lasciò che lo sguardo vagasse alla ricerca di quelle immagini mai dimenticate; l'immenso tavolo ora spoglio dei fiori, la sontuosa scala con i suoi gradini rumorosi, i mobili scuri che sapevano di quiete, i quadri capaci di luci celestiali, e più in la in un angolo accanto al camino, la cesta dei pisolini giornalieri di Soffio.
    Una smisurata quantità di sensazioni esplosero in lei dominando la ragione, e fu attraverso quel velo di lacrime che vide Suo padre.
    Se ne stava seduto davanti il camino osservandola, e forse stentando a riconoscere in quella splendida donna il suo pulcino.
    Per un tempo che parve infinito l'uomo abbandonò la mente all'immagine lontana di uno scricciolo dal volto d'angelo e delle tante volte che l'aveva tenuto tra le braccia.
    – Fallo ancora padre, stringimi a te, concedimi la pace – Sussurrò Sara
    Al suono di quella voce lui sussultò, e mentre una incontrollabile emozione lo costrinse a fronteggiare il suo cuore impazzito, osservò Sara avanzare verso di lui, inginocchiarsi ai suoi piedi e poggiato il capo sulle sue ginocchia cingergli forte le gambe.
    Per lunghissimi attimi restarono in silenzio godendo di sensazioni che fecero vibrare l'aria della stanza, e quando la commozione si allentò, Sara sollevò il capo
    – Ciao – Disse in un sussurro – Ti ricordi di me?
    Egli annuì – Sei il mio pulcino
    – Lo sono ancora?
    – Perché sei voluta tornare?
    – Per ringraziare l'uomo che ha fatto di me una donna
    – Anche tua madre ha i suoi meriti
    – Debbo molto a mia madre, e sono felice d'aver vissuto questi anni al suo fianco. È stata buona con me, si è sacrificata affinché divenissi migliore… ma tu sei speciale… Tu non mi hai soltanto allevato insegnandomi ad amare, tu hai voluto darmi più di quanto ti fosse stato concesso. Mi hai donato le tue ali, mi hai permesso di crescere all'ombra della tua umiltà, e per questo non ti ringrazierò mai abbastanza. Mi hai preparata a vivere consentendomi di vivere la tua vita, di respirare la tua aria. Mi hai consolata, mi hai guidata e sostenuta nella più difficile scelta della mia esistenza, hai fatto per me ciò che soltanto un dio è capace di fare. Oh papà! Sapessi cosa darei per tornare a rivivere tutte quelle piccole e immense gioie... Ho ancora nella mente il ricordo del giorno che mi raccogliesti in riva al lago, e fremo rievocando l'amore e le carezze che mi elargisti a piene mani. Se chiudo gli occhi rivedo la nostra valle incantata, tutti i nostri amici più cari...e lei, la mia amatissima collina così vicina al cielo. Dio mio quante cose dovrò lasciare per seguire il mio destino. Tu sapevi che un giorno avrei visto morire mio figlio, ed è per questo che hai fuso nel mio cuore l'amore più grande. Sapessi quante volte ho creduto di odiarti per tutte le pene che m'infliggevi quando ero così testarda da non voler comprendere. Da me hai sempre preteso il massimo, in ogni occasione, ma soltanto quando ho saputo perdonare chi lo aveva ucciso ho compreso che lo dovevo a te. Ora nel mio cuore esiste un amore così grande da poter amare un intero universo... oh ma tu non hai nulla da temere... poiché ovunque mi condurrà il destino, nulla e nessuno potrà occupare il tuo posto
    – Non sono mai stato un dio, ma soltanto un uomo che ha tentato a fare del suo meglio
    – Sii indulgente ti prego, ho ancora bisogno della tua comprensione

    Suo padre si alzò e sollevandola la strinse a se – Può il tuo cuore perdonare il male che ti ho fatto lasciandoti andar via
    – Ssst, non dire nulla, ora sono tornata in paradiso
    – Vi fui costretto
    – Lo so padre… lo so… ma io lasciai la mia anima accanto a te, e ti ho sentito in ogni istante della mia vita
    – Dovevo lasciarti andare o non saresti mai più rientrata in possesso della tua natura
    – Quella sera, quando compresi ciò che ti avevo fatto avrei voluto morire... Per anni ho vagato alla ricerca di una fonte capace di lavare il mio peccato... ma non ve ne sono… E soltanto quando ho compreso di non avere più risorse sono tornata sulla collina
    – E lassù tutto si è compiuto
    – Ora sono in pace, ho compreso… ma tu dovrai aiutarmi a chiedere ad un uomo della Terra un figlio
    – Questo non è compito di un padre
    – E chi altri può insegnarmi ad amarlo di un amore tenero e avere la forza di lasciarlo. Io non so dove potrei trovare il coraggio per chiedergli un figlio e confessargli che dovrà morire per un popolo del quale non conosce neppure l'esistenza
    – Dovrai soltanto amarlo di un amore senza limiti. Soltanto così scoprirai l'ultimo atto d'amore
    – Dovrò concedergli il mio corpo
    – Gli concederai il tuo cuore, il corpo non è altro che il sogno. Amalo come sai amare, e in te si accenderà quella scintilla che non potrà mai avere fine… ma non potrai rivelarti… Potrai parlargli del tuo mondo, del tuo popolo, e se vorrai potrai raccontargli della tua casa, della vita trascorsa nella valle, della collina, dei tuoi amici, ma non potrai rivelargli la tua natura
    – Un uomo dovrebbe avere il diritto di sapere chi è la donna che ama
    – E sarebbe giusto farne un infelice? Tu credi che rimarrebbe lo stesso uomo se conoscesse la verità?
    – Mi odierà per quello che dovrò fargli
    – Amalo con tutte le tue forze e non accadrà. Tu devi ancora scoprire la forza del suo sentimento e come saprà renderti felice
    – Oh santo cielo… ma è proprio questo che mi preoccupa
    – Hai paura di lui?
    – No… Ho soltanto una gran paura per quello che dovrà accadere
    – Ciò che avverrà non va contro nessuna legge naturale
    – Tu lo definisci naturale? Per me invece è un cavolo di problema
    – Se può tranquillizzarti saperlo, quel momento è un piccolo problema per tutti gli uomini
    – È accaduto anche a te?
    – I ragazzi non sono poi tanto diversi dalle ragazze
    – Forse per un uomo è meno problematico
    – Sono soltanto due facce dello stesso problema che ognuno di noi deve affrontare con il proprio coraggio e la sensibilità di cui dispone. Vuoi che ne parliamo?
    – Di quella cosa? – Chiese lei sgranando gli occhi per la sorpresa
    – Un volta parlavamo di tutto senza troppi problemi
    – Beh, si, è vero, però questa volta è imbarazzante. Mi vergogno un po'
    – Di me?
    – No, ma ho dovuto conoscere il vostro senso del pudore
    – Ah! Capisco
    – Davvero? Io invece non ci capisco più nulla
    – Allora perché non tiri fuori il rospo? Hai dimenticato cosa ti dissi la tua prima sera nella valle?
    – Non ho dimenticato nulla, e sebbene mi renda perfettamente conto che è stato qui che ho conosciuto il sesso, mi dici come cavolo posso parlare a mio padre della mia vita sessuale? È imbarazzante…
    – Mi è così difficile pensare a te con problemi del genere… Li avevi superati
    – È vero… ma questo è successo tanto tempo fa. Ricordi la sera che divenni donna? Avevo una fifa nera, ma riuscii a parlartene
    – Oddio non farmelo ricordare. Quella volta fui io a non essere all'altezza della situazione
    – Il ricordo di quelle ore è tra i più dolci che serbo nel cuore, e non so come potrò mai ripagarti. Se chiudo gli occhi rivedo ancora il tuo sguardo disperato, il rossore e l'imbarazzo del tuo volto
    – Dovetti sembrarti un vero sprovveduto
    – Vuoi scherzare, mai come in quei momenti raggiungesti il centro del mio cuore. Non so quanti altri padri avrebbero saputo uscirne fuori senza combinare guai. Tu invece mi aiutasti a superare le mie paure
    – Già, ma fui costretto ad ignorare le mie
    – Lo so, ma questo lo compresi più tardi… e sarei dovuta venire da te per chiederti scusa
    – Perché? Non era accaduto nulla per cui dovessi scusarti
    – Quella volta te la combinai davvero grossa, ero talmente impaurita che trovai perfino il coraggio di chiederti di fare quello che avrei dovuto fare io… Dimmi la verità, lo avresti fatto?
    – Non lo so – Sussurrò lui abbassando lo sguardo
    – Dovevo essere proprio fuori di me per non comprendere la tua delusione
    – Oh no, ti sbagli, non ero affatto deluso, ero soltanto spaventato e non sapevo cosa fare, ma non deluso
    – Mi comportai da vera insensata, non pensai a te… Non avrei dovuto coinvolgerti
    – Invece facesti la cosa giusta
    – Papà! Ma ti rendi conto di cosa ti chiesi di fare?
    – Beh, certo fu un bel terremoto che ci scosse entrambi, però sono sicuro che non lo avresti permesso
    – Perché non mi avevi mai detto di quella cosa? Forse se me ne avessi parlato…
    – E come avrei potuto? Per me saresti potuta crescere altri mille anni e mai avrei pensato a te come a una donna… Tu eri il mio pulcino
    – Ed ora sono una donna? – Chiese lei sorridendo
    Suo pade annui abbassando lo sguardo – Certo che lo sei. Sei ancor più bella di quanto avessi mai potuto immaginare
    – Perché mi dici queste parole abbassando lo sguardo? Debbo pensare che mi stia mentendo?
    – No, sei davvero una splendida donna
    – Tu non puoi più imbrogliarmi. Perché nella tua voce avverto un tono di delusione? – Chiese ancora lei
    – Oh non è nulla… – Rispose lui troppo affrettatamente
    – Perché padre? Ti prego parlami… non lasciarmi nel dubbio
    – Te l’ho detto non è nulla… È soltanto che… Beh, sai come sono fatto
    – No, non lo so, spiegamelo
    – È che… non è facile per nessun padre scoprire che sta perdendo qualcosa che credeva sua
    – Ma non è vero! Io sarò sempre il tuo pulcino – Reagì lei abbracciandolo
    – Lo so che è sciocco, e che in realtà non ti ho perduta... Ma come si fa a dimenticare tutti quei dolcissimi momenti di un'età irripetibile. In tutti questi anni ho cercato di farmene una ragione… ma non è semplice… è troppo doloroso… E ogni volta ho sentito aumentare in me un vuoto che non ho saputo riempire
    Mentre suo padre parlava gli occhi di Sara si riempirono di lacrime. Si staccò da lui, prese tra le sue una mano di lui e la portò alle labbra
    – Ti chiedo perdono, – Sussurrò lei – ti sto facendo ancora del male
    – Tu non hai colpe. Questa è la vita... E nessuno di noi può farci nulla
    – Cosa ricordi di quegli anni? – Sussurrò lei con il pianto nella voce
    – Ogni istante
    – Tutto tutto?
    – Tutto. – Mormorò lui con voce sottile – Ogni parola che ci siamo scambiata, ogni carezza
    – Anch'io ho dovuto ricorrere all’aiuto a tutti i miei ricordi per poter sopravvivere. Non ho dimenticato nulla... e tu non mi hai e non mi perderai mai. Tu sei il tesoro che ho racchiuso nello scrigno del mio cuore. Ogni ora, ogni istante trascorso con te sono indelebilmente fissati in me. Sono le cose più preziose che posseggo, e ovunque la vita mi abbia condotta ti ho cercato tra milioni di persone
    – Il mio pulcino ha pensato a me?
    – Ti ho cercato in ogni alito di vento, nei tramonti e in ogni mia lacrima... E anch'io ho vissuto con un vuoto dentro di me che nessuno è mai riuscito a colmare
    – E c'è ancora quel vuoto?
    Lei scosse il capo socchiudendo gli occhi – No, è scomparso nell'istante in cui tra le tue braccia ho ripreso a volare
    – Sei dunque tornata per vedermi piangere?
    – Sono tornata perché ti appartengo, e perché dovrai aiutarmi ancora
    – Soltanto per questo?
    – Dio, ma lo vedi cosa mi sta facendo? Mi tratta ancora come una bambina. Ma tu credi che nell'universo esista un altro uomo a cui potrei chiedere aiuto?
    – Non lo so, dimmelo tu
    – Non c’è. Tu sei la mia guida. Il tuo ricordo mi ha permesso di affrontare situazioni difficili come una semplice donna, e se ho sofferto ho saputo pregare, se ho avuto paura ho pianto, ma ogni volta il tuo coraggio mi ha spinta ad andare avanti
    – Beh, almeno qualcosa di buono l’ho fatto
    – Se l’hai fatto? Porca vacca ma perché credi sia tornata da te?
    – Hai forse paura di amare?
    – Ho semplicemente paura di quella cosa. Accidenti papà sto parlando di quello che un uomo e una donna fanno con il corpo! Ecco, ora l'ho detto!
    – Se ben ricordo di questo problema ne parlammo quand’eri ancora una bambina
    – È vero, ma ora che si avvicina quel momento nella mia mente s'è creato un blocco… Porca miseria Pà, io non voglio fare cose che non comprendo
    Lui rise scuotendo il capo – Mi torna alla mente una bambina così testona da non voler ammettere cose che invece comprendeva perfettamente
    – Parli bene tu, ma dovrò essere io a farlo
    – Ma tua madre cos’ha fatto, non te ne ha parlato?
    – Lo ha fatto molto chiaramente. – Ammise Sara guardandosi la punta delle scarpe – So quello che debbo fare e ciò che debbo aspettarmi, ma ho il terrore di farlo, lo capisci o no?
    – No! Non credo di capirti
    – Oddio papà! Ma che colpa ne ho se non riesco a farmi entrare nella zucca il perché debba farlo
    – Perché è l'unico modo per avere un figlio
    – Non è vero non è l'unico. Io potrei...
    – Non pensarci neppure. Comincio davvero a credere di aver commesso un errore e che avrei dovuto prepararti diversamente ad affrontare questa situazione
    – Fallo ora ti prego. Tu sei sempre riuscito a tranquillizzarmi
    – Sai bene che razza di pasticcione sono, a volte, quando mi trovo a dire cose più grandi di me, mi si lega la lingua
    – Ti prego,
    – Sapessi almeno di dove cominciare
    – Inizia spiegandomi perché deve essere così complicato avere un figlio
    – Ma non è vero, non è affatto difficile, è talmente intuitivo che...
    – Pà! – Lo interruppe lei sorridendo – Conosco ciò che intendi per intuitivo. So come funziona e tutto il resto
    – Allora cosa vuoi che ti dica?
    – Prova a cancellare dal mio cuore questa maledetta fifa
    – Questo non è possibile, quella che tu chiami fifa ti appartiene come il coraggio e il tuo amore… e poi non crederai d’essere l'unica donna ad averne. Per quanto ne so è un sentimento comune ad ogni ragazza che si trova ad affrontare il tuo stesso problema
    – Beh, allora mettiamola così; riguardo a ciò che capita alle altre andrà come dici tu, ma per me è diverso
    – Non è affatto diverso, tu sei simile a loro
    – Oh santo cielo! Ma lo vuoi capire che non potrò mai farlo… io non voglio tradirti
    – Ora non dire sciocchezze più grandi di te
    – Sciocchezze? Oddio pà, ma io debbo concedere il mio corpo a un altro uomo e tu le chiami sciocchezze?
    – Se vuoi avere un figlio quello è l'unico modo
    – Oh signore quest'uomo è pazzo! Ma come puoi dire una cosa simile? Io ti amo
    – Lo so, e mi sarebbe difficile vivere se non fossi certo del tuo amore
    – Porca vacca, ma non sei geloso?
    – Se lo sono? Sono imperdonabilmente geloso. Lo sono dell'aria che respiri, delle carezze del vento quando ti sfiora, del sole quando ti bacia, della pioggia quando ti bagna, ma cosa posso fare? Posso mai chiedere alla pioggia, al sole o al vento d'ignorarti?
    – Allora come puoi propormi di concedermi ad un altro
    – Tu non ti concederai ad un altro qualsiasi, ma consentirai all'uomo che ti è stato assegnato di aiutarti a dare vita a ciò che è racchiuso in te
    – Io non potrò mai concedere il mio corpo ad un altro uomo, io appartengo a te
    – Ogni essere appartiene in eterno a chi gli ha dato la vita, ma questo non vuol dire che tu debba concluderla nel rimpianto di cose che avresti e non hai voluto fare per rimanere fedele a un sogno
    – Tu non sei un sogno, sei una delle cose più belle della mia vita. Ricordi quando ti chiesi se la nostra vita era un sogno? Ricordi cosa rispondesti? Lo hai dimenticato?
    – Potrei mai vivere senza respirare? E potrei mai respirare senza rammentarmi il tuo amore? Non pensarlo neppure
    – Oh padre, non posso farlo. Sono stata bene con te, ho trascorso anni meravigliosi, indimenticabili
    – Lo sono stati anche per me, ma il tempo che abbiamo trascorso assieme è il più dolce da ricordare perché appartiene al ciclo incantato dell'infanzia
    – Dio come vorrei tornare indietro
    – Vorrei dirti che anch’io faccio questo sogno, ma il tempo non concede nulla a nessuno
    – Se soltanto osassi lasciarmi andare potrei morire di quelle emozioni. Ogni istante della mia vita con te è stato un paradiso. Oh pà, ma perché? Io ero felice, avevo tutto
    – Semplicemente perché il periodo dell'infanzia è il più incantato della vita di ogni uomo, e guai se non fosse così. Quello è il tempo in cui nell'animo sbocciano i sentimenti più teneri
    – Merito tuo
    – Non accreditarmi meriti che non mi spettano, avrei potuto fare ben poco se non mi avessi accordato la tua fiducia
    – Voglio tornare ad essere il tuo pulcino
    – Lo sei e lo sarai per l'eternità
    – Perché sono cresciuta? Perché non mi hai fermata? Il resto della mia vita non è stato come quello vissuto in questa valle
    – Non permettere che il dolore appanni la coscienza. Accanto a tua madre hai vissuto una splendida adolescenza
    – Voglio tornare a vivere con te e la mamma
    – E tu credi che noi non lo vorremmo? Tornare a rivivere ognuno di quegli istanti è il mio sogno segreto, ma non è possibile, non abbiamo più nulla da insegnarti… ed ora tu hai il dovere di vivere la tua vita
    – Ma cosa dici? Io ho ancora bisogno del tuo aiuto. A chi altri potrei chiedere aiuto se non al mio uomo?
    – Sono tuo padre, non il tuo uomo
    – Oddio scusami, non intendevo in quel senso, però che a te piaccia o no resterai per sempre colui a cui debbo chiedere il consenso per amare un altro uomo
    – Questo mi rende un padre felice, ma tu non hai alcun bisogno del mio consenso
    – Oh si che ne ho bisogno, io tremo al solo pensiero che un altro uomo possa toccarmi, e se dovessi farlo senza il tuo consenso mi sembrerebbe di tradirti
    – Lasciamo da parte i tradimenti e comincia a pensare che i tuoi timori non sono affatto diversi da quelli di molte giovani donne che come te sono in attesa di quel momento magico
    – Tu lo chiami magico?
    – Beh, forse non lo sarà per tutte voi, ma è meno complicato di quanto si possa pensare
    – Come si fa a riconoscere quel momento?
    – Nel momento stesso in cui in voi scatterà qualcosa che saprà modificherà il concetto di vita. Fino a quel momento avrete vissuto di affetti e di sogni, ma poi, e senza alcun preavviso, vi troverete sole con la vostra coscienza e il vostro coraggio a fronteggiare strane sensazioni d’incompletezza e di colpa. Quello sarà il vero inizio della vostra vita sociale e sentimentale, e se saprete dare il giusto valore a quelle esistenze, nascerà in voi il bisogno di chiudere quel cerchio che si è aperto nel momento stesso della vostra nascita
    – A me non è accaduto nulla di tutto ciò
    – Non è detto che tutte le donne debbano scoprire allo stesso istante la vocazione per la maternità
    – E come si fa a capirlo?
    – Per la verità questo non riesco neppure ad immaginarlo, ma dovrebbe trattarsi di una emozione così violenta da scombussolarvi in ogni senso, e immagino che debba iniziare quando incontrerete lo sguardo di un certo uomo
    – Un solo sguardo può causare tutto questo?
    – Ricordi la volta che prendesti una scarica elettrica mameggiando la pompa dell'acqua? Beh, immagina qualcosa mille volte più potente
    – Cavoli! Allora si rischia di morire
    – No, ma certamente il vostro cuore riceverà una bella scossa
    – Ecco fatto! Come se non fosse sufficiente quello che ha dovuto subire il mio povero cuore
    – Oh ma non vi è nessun pericolo, anzi, qualcuna afferma che sia estremamente piacevole
    – Una scarica elettrica non è mai piacevole, te lo assicuro
    – Cosa vuoi che ti dica, io non sono mai stata una donna
    – Vorrei vedere, e poi cosa succede?
    – E poi? Ma perché non lo chiedi a tua madre? Lei saprebbe descriverti alla perfezione quanto accade ad una ragazza
    Sara scosse il capo con sulle labbra un sorriso beffardo
    – No, voglio sentirlo da te
    – Mi conosci, sai che pasticcione sono. Non è facile
    – Non importa, tu provaci ugualmente
    – Posso soltanto provare a descriverti quello che immagino
    – Bravo, immagina, immagina
    – Okay ci provo, allora vediamo… Potrebbe accadere che dall'istante in cui quello sguardo vi avrà fulminate, ad ognuna di voi capiti di sentirsi diversa
    – Diversa come?
    – Ad esempio il cielo potrebbe assumere colori mai visti prima, oppure guardandovi nello specchio potreste scoprire d'essere ogni volta meno belle...
    – Non ti fermare vai avanti, la cosa diventa interessante
    – Cos'altro posso dirti?
    – Prova ad inventati qualcosa. Tua moglie afferma che sei bravissimo a far vedere le stelle anche di giorno
    – Tua madre ha sempre voglia di fare dello spirito, ma lei sa benissimo come sia facile soffrire d’insonnia quando si è innamorati… o scoprire come le notti possano diventare troppo lunghe
    – A te cos'è accaduto quando t'innamorasti della mamma?
    – Oh beh, e chi se ne ricorda. È accaduto tanto tempo fa
    – Ho capito, non vuoi parlarne. Poi cos’altro potrebbe accadere?
    – Ad esempio a qualcuna di voi potrebbe accadere di provare l'irragionevole voglia di piangere senza una ragione apparente
    – Oh che bellezza! – Esclamò Sara
    – E magari perdere l'appetito
    – Stai scherzando, vero?
    – Niente affatto
    – Cavoli, se dovesse capitare a me sarebbe un bel risparmio! E poi?
    – Potrebbe accadere che senza una vera ragione tutto vi appaia più bello...e magari vedere splendido un giorno di pioggia
    – Sai cosa penso?
    – Posso immaginarlo, ma sentiamo
    – Che tu voglia prenderti gioco di me
    – Beh, non è detto che tutto ciò possa davvero accadere Per fortuna non siamo tutti uguali
    – Ho paura che tutta questa storia non sia altro che una grossa seccatura

    Suo padre rise di gusto.
    – Non sei andata troppo lontano, in un certo senso potrebbe diventarlo davvero
    – Quale altro guaio debbo aspettarmi?
    – Potresti voler dare un significato ad ogni cosa
    – Io do sempre un significato a ciò che mi accade
    – Intendevo emotivamente. Ad esempio un fiore potrebbe non essere più soltanto un fiore
    – E cosa potrebbe diventare, un sandwich?
    – Hai ancora l'abitudine di pensare con lo stomaco?
    – Purtroppo si... Cosa potrebbe diventare un fiore?
    – Un paradiso indimenticabile
    – Oh bene!
    – Oppure scoprire come uno sguardo potrebbe farti fremere, e un ritardo farti piangere
    – Sembra che tu descriva i sintomi di una malattia
    – È vero, e in effetti è come contrarre una malattia che nessun medico è in grado di curare
    – Quella malattia non è nuova per me, la conosco bene
    – Ti sbagli, perché se i sintomi possono sembrare gli stessi la malattia è assai diversa
    – So bene cosa significa amare
    – Ne sono certo, ma ciò di cui stiamo parlando è un amore diverso da tutti gli altri
    – Vuoi impressionarmi ancora?
    – No, e te ne accorgerai quando scoprirai che quel sentimento è capace di cancellare dal tuo cuore ogni paura per far posto all'amore di un uomo
    – È dunque questo l'ultimo atto dell'amore?
    – No… Il mio pulcino ha conosciuto quel poco d'amore che ho saputo donargli, quello grande di sua madre e quello meraviglioso di suo figlio. Il suo cuore ha amato la Terra, i suoi amici e i suoi nemici. Ora non gli resta che conoscere l'amore di un uomo
    – Quale amore potrà mai essere più grande del tuo?
    – L'amore per la vita. Un sentimento capace di far fremere il tuo corpo con la potenza del tuono e che saprà farti dimenticare ogni cosa. Un'emozione che impegnerà tutti i tuoi pensieri, il corpo e l'anima

    Sara sorrise socchiudendo gli occhi in quel suo caratteristico vezzo
    – Nulla saprà cancellarti dal mio cuore
    – Invece credo che per un certo periodo dovrò restarmene in un angolino
    – Dovrà essere ben grande quell'amore se vorrà relegarti in un angolino. In questi anni ho incontrato molti uomini, e qualcuno veramente da incorniciare, ma quello che ho nel cuore è ancora più vasto di quando ti lasciai. È un incendio che non può essere più domato
    – Lo sarà quando incontrerai l'uomo a cui sei stata destinata
    – E proverò quelle cose? Perderò l'appetito e tutto il resto?
    – Immagino di si
    – Ma se dovesse accadere… che genere di amore sarebbe il mio se poi dovrò lasciarlo? – Chiese osservandolo e divenendo improvvisamente seria – So bene cosa significa essere abbandonati dalla persona che si ama, si può desiderare la morte, e sarebbe come andare contro i tuoi insegnamenti
    – Anche tua madre scelse di lasciarmi, e fu per la stessa ragione; la salvezza dell'universo
    – E tu credi che la salvezza dell'universo possa interessare un uomo che ama? Potrebbe morirne
    – Non devi temere, mi prenderò cura di lui. Ormai so essere un buon padre
    – Tu dovrai venire con me
    Suo padre scosse il capo – Mi dispiace tesoro, ma ho paura che dovrò darti un dolore. A me non è concesso seguirti – Sussurrò mentre un nodo alla gola gl'impedì di continuare
    – Io non posso perderti ancora – Mormorò lei con un malcelato sentimento di terrore nella voce
    – Tu non mi perderai così come io non perderò te
    – Ho paura che il tempo cancelli il mio ricordo dal tuo cuore
    – Hai così poca fiducia nel mio sentimento?
    – No, ma la paura è troppa
    – Non hai motivo di temere nulla. Tu resterai per sempre la mia luce, il mio fiore meraviglioso

    Dominando l'intelletto Sara riprese il controllo di se, serrò forte gli occhi per trattenere le lacrime e quando li riaprì il suo sguardo era vivido
    – Abbracciami padre, – Sussurrò – fa che possa fissare in me quest'istante
    Lui la strinse forte a se, poi la lasciò per voltarsi verso il fuoco morente.
    Per un eterno istante lei rimase in silenzio lottando con il suo dolore, poi, prima di voltarsi ed uscire dalla stanza, sollevò le mani e lo accarezzò sulle spalle, e sfiorando la sua mente con un bacio sussurrò
    – Ora tu sei in me, ed io porterò il tuo ricordo in eterno
    La porta sulla veranda rimase aperta, ed egli, ascoltando i suoi passi sulla neve, rivide, nella memoria, una lattina di birra che brillava alle prime luci di un alba ormai tanto lontana.


    The Begining
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    Roma - Natale 1937


    Mia madre e la giovane maestra divennero amiche sin dalla prima volta che s'incontrarono. Tutte e due provenivano dalla campagna, mia madre dalla campagna toscana, avendo sposato un militare mentre la maestra proveniva dal veneto come molti altri che erano pervenuti dal veneto avendo accettato l'offerta fascista in cambio di un terreno e una casa di campagna.

    Mia madre 41 fu costretta a subire un intervento chirurgico a dir poco impossibile, ma che le salvò la vita, le era stata diagnosticato un tumore osseo alla clavicola destra e doveva essere operata subito per tentare di salvarla.

    L'operazione fu eseguita all'ospedale di Pisa, le fu sostituita la clavicola malata con una sua costola (non mi dilungo nei dettagli perché non li conosco neppure io, ma sta di fatto che forse fu un intervento mai realizzato in Europa o forse nel mondo).

    L'operazione salvò la vita a mia madre e la giovane maestra si fece carico di assistere, a Roma, me e mia sorella, allora piccolissimi, per tutto il tempo dell'operazione e della sua ripresa fisica poiché il mio papà era militarizzato e impossibilitato a svolgere le sue funzioni di padre.

    Mia madre si riprese e fu enormemente grata a quella donna per la sua grandissima manifestazione di amicizia e umanità, e quando la ragazza partì per tornare al suo paese natale per tentare di ritrovare i suoi cari, le promise che se non fosse ritornata entro un paio di mesi sarebbe andata lei a cercarla.
    E così fece, due mesi dopo la sua partenza, assieme all'amico Vittorio tornarono a Sabaudia dopo aver lasciato me e mia sorella a un'altra grande amica, Margherita.

    Dopo molte ricerche trovarono la casa dove ancora c'era il corpo della ragazza morta a seguito dei bombardamenti navali alleati precedenti allo sbarco di Anzio.
    Le dettero sepoltura e successivamente, dopo una serie pazzesca di peripezie, tornarono a Roma con quella parte di diario della maestra, che mia madre rinvenne nelle macerie della casa.

    Nessuno seppe mai nulla di quel diario, neppure mio padre, io ne venni conoscenza soltanto nell'82 quando, prima di lasciare questo mondo, mia madre me lo consegnò e mi raccontò tutta la storia.

    Ho cercato invano di creare un racconto della storia, ma ho dovuto desistere immaginando che molti lettori non avrebbero potuto comprendere perché una madre lasci (anche se in buone mani) i propri figli per andare a cercare il corpo di una sua amica, fascista per giunta, talmente contraria al suo modo di intendere la vita che pochi credettero che la storia fosse vera.


    15 Dicembre 1943 (Tratto da resto del diario della giovane amica di mia madre)


    …ho finito per darmi la zappa sui piedi; dopo aver sacrificato i migliori anni della mia vita e gli affetti più cari dedicandomi anima e corpo all'idea di un rinnovamento nella scuola, idea regolarmente boicottata per volontà politica, ho detto basta!
    Amo insegnare, farei qualsiasi cosa pur di dare ai giovani una possibilità in più, ma non ci è stata concessa alcuna possibilità.
    È nei giovani il futuro di una nazione e sono certa che pagheremo duramente questa miopia, e ora la mia decisione è definitiva e irrevocabile.
    Se fossi certa di saper sorridere della mia situazione, senza arrabbiarmi, forse sarei anche capace di guardarmi nello specchio, ma ho paura di far male i miei calcoli e allora potrei finire per mettere le mani addosso a qualche imbecille!
    Non mi arrabbio più, neppure quando capisco di aver perso tutte le battaglie. Le passate certezze, i grandi sogni... tutto svanito... ma comunque vadano le cose, non sono riusciti a demolire, nel ricordo, l'amore e il grande affetto per mia madre...
    Fin da piccina sono stata per lei la sua principessa luminosa... ma poi crebbi, mi persi in sogni impossibili e mi allontanai emotivamente dai suoi insegnamenti. Non volli più essere la principessa luminosa, perdendo così la mia vera natura e la voglia di palesare i miei sentimenti. Ho sbagliato tutto! Che stupida, stupida, stupida sono stata a lasciar cadere nel nulla tutte le cose belle che avevo nel cuore. Ho lasciato scolorire la mia vita.
    Oggi ho deciso, domani torno a casa!

    17 Dicembre 1943

    Sono partita da Roma ieri mattina prima dell'alba con il 621 di Vittorio, un compaesano che, rischiando l'osso del collo, due volte al mese percorre con il suo furgone il tratto Roma-Sabaudia-Roma per portare ortaggi e frutta alle due scuole della nostra borgata di estrema periferica.
    Con me c'erano altre cinque persone, tre uomini e due donne che non conosco, però mi hanno subito inquadrata come persona da tenere distante, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere il loro odio.
    Forse qualcuno di loro potrebbe conoscermi, le due donne mi sembra di averle viste davanti la scuola.

    Beh... chi se ne frega! Non voglio nulla da nessuno… Vittorio, già un anno fa mi invitò a fare il viaggio con lui per tornare a casa quando la mamma cadde ammalata, ma il mio maledetto orgoglio e gli impegni con i ragazzi della mia scuola consumavano tutto il mio tempo, non lo dico per tentare di giustificarmi, ma quasi tutti quei ragazzi hanno storie difficili, noi li teniamo riuniti nella scuola insegnando loro l'abc della sopravvivenza, senza fargli mancare il calore umano di cui siamo capaci, tra l'altro non avrei saputo a chi lasciarli, ormai siamo rimaste in due o tre a prenderci cura di loro ed io non me la sono sentita di mollarli.
    Però in questi giorni sono quasi tutti con le loro famiglie per le festività del Natale e allora ho deciso di fare quel viaggio, anche se con un imperdonabile ritardo.
    Dunque figuriamoci se posso preoccuparmi di un viaggio da fare in compagnia di chi non mi ama!

    Ad ogni modo tra noi non c'è stata nessuna comunicazione. Quel loro comportamento mi ha fatto sentire peggiore di quella che non sono mai stata e tutto perché indosso una divisa... Però le volte che siamo incappati in pattuglie tedesche, il mio lasciapassare è servito come garanzia anche per loro… temo che occorrerà ben più di un secolo per cancellare dai nostri cuori tutto l'odio accumulato.
    Fa niente, è giusto così, si vede che merito il loro disprezzo! Ormai non ho più nulla da difendere, la mamma se n'è andata 7 mesi fa sotto un bombardamento assieme alla zia Veronica e a me è rimasta solo la nostra casa disastrata... I miei ragazzi li ho salutati uno ad uno stringendoli forte...

    21 Dicembre 1943

    Ieri è stata un'altra giornataccia, il viaggio è stato silenzioso ma non tranquillo, tra noi c'era un gelo che mi ha fatto male, ma ero consapevole di cosa mi spettasse.
    Il problema più grave è stato quello di dover tenere continuamente il naso in aria per non finire sotto le mitragliere alla caccia inglese e a volte cercando riparo nei cascinali che incontravamo per non dare troppo nell'occhio.
    Durante la notte invece, arrancando a fatica nel buio rotto a tratti da una luna mai stata così splendente, è stato possibile proseguire facendo attenzione di non finire fuori strada nel superare fattorie abbandonate, macchine agricole distrutte, animali in libertà...
    Spero di arrivare al bivio per la mia casa prima che faccia giorno.

    Eccola, la riconosco, è come l'ho sempre vista nella mia memoria... è la strada a destra che piega verso il lago!
    Mio Dio quanti ricordi!
    Sono scesa dal furgone che era ancora buio, nessun saluto, nessun ciao... e mentre seguivo lo scoppiettante rumore del motore che si allontanava, mi batteva il cuore ed avevo gli occhi gonfi di lacrime.

    Rientro nel mio mondo.

    Prima di riprendere il viaggio Vittorio mi ha sconsigliato di attraversare il centro abitato, pare non sia prudente, chissà se c'è ancora qualcosa di sicuro in questa nostra Italia? Personalmente credo non ci sia rimasto nessuno... né amici né nemici. Il tanto sbandierato sbarco alleato avrà messo le ali ai piedi di eroi e codardi.

    Mi avvio lungo la china della collinetta che sovrasta campi ormai incolti. Avanzo lentamente, quasi non volessi più raggiungere la nostra casa.
    A occhi chiusi costeggiò il meleto, o quello che né è rimasto, lasciandomi guidare dal ricordo e quando li riapro mi appare lei, la casa, parzialmente distrutta, ma inzuppata nella luce di quest'alba piovigginosa.

    Per un eterno istante ho la sensazione che sia rimpicciolita, ma nell'istante in cui i miei occhi si riempiono di lacrime, ingigantisce assumendo l’aspetto reale.
    Tremo talmente che mi è scivolata dalle mani la chiave di casa finendo nel fango... non importa, tanto non servirà, però mi emoziono e inizio a singhiozzare non appena sfioro con le mani il cancelletto di legno scrostato.

    Finalmente, dopo otto anni sono di nuovo al cospetto di questa vecchia casa. Vorrei che Dio mi restituisse il coraggio di restar qui con lei… debbo pagare un vecchio debito... lei è stata mia madre per quasi tutta la vita, ed io l'ho abbandonata... non posso più nascondere queste emozioni... sono troppo care, troppo vere... mi è rimasta soltanto lei!

    La scorsa notte ho sognato di vivere un ultimo giorno d’innocenza e d’ingenuità prima di morire e l’immagine era delle più intense che io abbia sognato in tutta la mia vita…
    Ora più che mai desidero morire tra le sue mura.

    In lontananza si odono le esplosioni dell'ennesimo bombardamento, forse su Anzio o forse su Napoli, qui siamo sulla linea Gustav e tremo come una scolaretta ad ogni scossone. Molto presto quegli aerei saranno di ritorno e forse passeranno di qui... sono mesi che aspetto questo momento… la resa dei conti!
    Serro forte gli occhi che bruciano e ritrovo i colori del mio giardino.
    Con il cuore che batte forte, salgo i gradini della veranda, sfioro con le mani la porta e, avvertendo un antico caldo brivido di piacere, accosto ad essa le labbra sussurrando
    – Ti voglio bene!

    Entro. L'interno giace squassato in una penombra silenziosa.
    Lentamente accosto la porta poggiandovi le spalle e nel tentativo di frenare il pianto serro forte gli occhi aspirando l'aria per goderne i profumi frammisti.
    Ho l'impressione di riconoscere l'odore del legno antico dei mobili, quello acre ed umido dei ceppi nel camino e mentre in quest'aria ferma riconosco il buon aroma della carne che cuoce sulla griglia, mi tornano tutti gli altri ricordi che ancora vivi aleggiano nella mia memoria.
    Quando riapro gli occhi lascio che lo sguardo vaghi alla ricerca di quelle immagini mai dimenticate; l'immenso tavolo ora fracassato e spoglio dei fiori, la sontuosa scala con i suoi gradini rumorosi, i mobili scuri che sapevano di quiete, i miei dipinti, vanto della famiglia, allora capaci di rendermi una ragazza felice e più in la in un angolo accanto al camino, la cesta dei pisolini giornalieri del mio amato gatto "Nemo".
    Una smisurata quantità di sensazioni dolorose esplodono in me dominando la ragione, mentre le deflagrazioni si avvicinano pericolosamente.

    Salgo di sopra seguendo il percorso che facevo ogni mattina per evitare che gli scalini in legno scricchiolassero svegliando la famiglia.
    Riassaporo fragranze racchiuse nella memoria assieme a quel vago profumo di speranze, desideri accennati e sogni sorridenti che in un attimo riprendono vita.

    Dalla finestra, alla luce di quest'ultimo giorno, mi appare il meleto e oltre la forra il lago, tracciato da quella lunga striscia di orizzonte azzurro ed d'infinito che m'innamorava.
    Tornano le travolgenti memorie perdute negli anni bruciati della mia passata gioventù per seguire un'immagine di vita che mi ha tradita...

    Ora son qui, nella tua stanza mamma. Vedessi come l'hanno ridotta tutte quelle granate, ho difficoltà a respirare, l'emozione mi soffoca.
    L'antica regina e la principessa luminosa sono ancora insieme tenendosi per mano, affacciate alla finestra di questa casa semplice, vuota e silenziosa.

    Il rombo degli aerei si fa man mano più pesante, il cielo è solcato dai traccianti della risposta contraerea in un susseguirsi di esplosioni che mi terrorizzano!

    Aiutami mamma, ti prego!

    Tu sai cosa vuol dire vivere con quello che ho nel cuore.
    Non ce la faccio più!
    Non negarmi il tuo amore, salva la mia mente, non lasciare che si spenga senza il tuo perdono!
    Mio Dio, se mi negassi il tuo amore, dovrei dire addio a tutti i colori di questa nostra adorata terra, al nostro focolare ardente di ricordi, a tutte le persone buone, al seme da cui sboccerà un fiore, a tutti i miei ragazzi che non rivedrò più... e non so come potrei dire addio a te madre mia. Se mi lasci fuori del tuo cuore, non saprei più, dove riposare il capo e morirei sola!

    Scossa da singhiozzi scivolo in ginocchio tra le macerie della stanza, raccolgo il volto tra le mani in un silenzioso e lungo pianto, come quando ti sentivo in una percezione silenziosa e mi giravo mentre passavi per non sfiorarti.

    Ogni conversazione tra di noi era inutile, niente sorrisi accennati, lettere che mi servivano soltanto per dirti addio.
    Dove sei mia gioventù? Quando procedevo senza incanto ed ero sempre silenziosa.
    Ero testarda solo per farti rabbia, prendevo solo quel che mi piaceva.
    Ero diversa e uguale a te. Diversa da ogni persona, ribelle e affamata di tutto quello che nascondeva la vita.

    Guarda!?... In questo inferno un usignolo si è posato sul davanzale della finestra.

    Oh mio Dio! Lui si ricorda di me? Riconosce la mia tristezza ma continua a cantare, libero di appoggiarsi al vento che ingarbuglia ogni mia consapevolezza. Non riesco più a comprendere il suo canto ma con la zampetta si gratta il capo... allora sorrido e piango rammentando quel tuo gesto.

    Grazie mamma, ora sono certa di averti ritrovata. Soltanto così potevi dirmi: bentornata a casa Lucia!

    Sono tornata a te mamma! Non voglio più dirti addio, ti o fatto tanto male... ma ora sono pentita… basta soffrire… ti prego mamma non facciamoci più del male... io non ho mai smesso di volerti bene…
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    Gli anni in cui imparai ad amare mio padre


    Dal diario di una ragazza di campagna…

    …Fu più o meno verso la fine dell'estate, nel giorno del mio undicesimo compleanno, ovvero l’anno dopo che mia madre mi scaricò in campagna affidandomi alle cure di mio padre, per poi sparire per sempre dalla mia vita, che ebbi per la prima volta la netta sensazione d'essermi assuefatta a quella nuova vita, sorprendendomi di come fosse stato facile abituarmi al duro lavoro dei campi e alla pesante incombenza di mandare avanti un’enorme casa.

    Fin da quando mia madre prese la decisione di fuggire da quella fattoria e da un marito che non amava, (ma che l’aveva salvata da un’imbarazzante gravidanza) in me venne a crearsi, complici i suoi atteggiamenti, la convinzione che fosse quella la vita che mi spettasse, tant’è che nei miei primi otto anni di vita, ebbi modo di vedere mio padre una sola volta e fu quando egli venne in città per i funerali dei miei nonni.
    In quell’occasione ebbi modo di vederlo soltanto di sfuggita, giacché mia madre fece tutto ciò che era in suo potere perché il nostro incontro risultasse poco più che un saluto, infatti mi fu possibile scambiare con quell’uomo assolutamente mal vestito e dall’aspetto indecifrabile, soltanto qualche frase di cortesia.
    In realtà, quando mia madre mi portò via dalla fattoria ero talmente piccina che mi fu impossibile riconoscere l’aspetto fisico di qualcuno del quale non ricordavo neppure quale fosse il tono della voce.
    Eppure, sebbene il nostro incontro fu una questione di pochi minuti, in me rimase di lui un unico indelebile ricordo, il color grigio cielo dei suoi occhi.

    Dal giorno dei funerali trascorse un altro lungo anno, poi, improvvisamente, mia madre decise di risposarsi e in questo contesto maturò la sua decisione di liberarsi definitivamente della mia presenza, ormai divenuta ingombrante, spedendomi nella fattoria di mio padre.
    Ogni cosa fu organizzata a mia totale insaputa e come seppi molto più tardi, di mio padre.
    E così, dopo un viaggio interminabile in treno, sola come un cane, piena di paure e incapace perfino di pensare, mi ritrovai a vivere un’esistenza alla quale nessuno mi aveva preparata.
    Considerando che avevo appena dieci anni e non mi ero mai mossa dalla mia città, è facile intuire come potessi vivere quell’illogica situazione emotiva.
    La prima cosa che seppi fare fu di addebitare a mio padre ogni responsabilità di quella situazione.
    Ricordo che l'inizio della mia nuova vita non fu per nulla facile, soprattutto perché, dando libero sfogo al mio caratterino niente male, reagii a quel tradimento urlando, all’universo intero, il mio disprezzo per tutto quel mondo nel quale era stata scaricata.
    Com’è logico immaginare, a pagarne le spese fu il mio stato fisico e mentale, ma soprattutto l’incolpevole mio padre.

    Nessuno di coloro che frequentavano la fattoria osò mai manifestare un solo pensiero che riguardasse il mio temperamento ribelle, tranne lui, mio padre, il quale, riconoscendosi in parte responsabile di quella disgraziata situazione, cercò, nei limiti che il suo stesso carattere gli concedeva, di adoperarsi affinché la mia giovane vita non dovesse tramutarsi in un inferno quotidiano.
    Ci provò e ci riprovò, fece di tutto, ma dopo alcuni mesi d’inutili tentativi, alla fine dovette abbandonare ogni speranza.
    Tra noi c’era un baratro incolmabile, dovuto soprattutto alla mia convinzione che fosse lui l’unico responsabile di quella spiacevole situazione, e ad avvalorare la mia convinzione vi fu la circostanza dello strano suo comportamento passivo, che evitò accuratamente di darmi spiegazioni.

    In realtà i problemi che in quei primi mesi mi assillarono seppero rendermi impossibile la vita, soprattutto quando mi trovai ad affrontare l'intollerabile disagio delle lunghe giornate da trascorrere in completa solitudine.

    Oddio, è pur vero che prima di essere spedita come un pacco postale in quella fattoria, il mio caratterino ribelle mi aveva praticamente costretta a trascorrere i miei anni soltanto in compagnia di me stessa, ma li accadde qualcosa che sembrò mutare in parte quello stato di disagio in cui ero sprofondata, e ciò si verificò alcuni mesi dopo essere giunta in quella fattoria sperduta tra foreste e montagne, ovvero quando per puro caso mio padre mi fece conoscere una giovane donna, moglie di un vicino, nella quale scoprii una comunione d’interessi e una disponibilità che non avevo mai conosciuto…Da allora, le giornate iniziarono a sembrare meno lunghe e in me si accese una lieve fiammella che in breve tempo iniziò a divorarmi.

    In casa di Sara conobbi il suo vecchio padre, un contadino infermo e ormai sulla soglia della pace eterna, scoprendo, giorno dopo giorno, quale grande affetto legava quella donna ormai adulta e madre di tre bambini, al padre.
    La cosa mi sorprese più di quanto la mia insensibile e piccola anima potesse comprendere e quando il vecchio morì, la disperazione e le lacrime della figlia schiusero al mio sguardo spirituale un vasto mondo assolutamente sconosciuto.

    Certo i miei problemi non si risolsero con l'avvento e l'amicizia di quella donna dai modi gentili e dal sorriso accattivante, ma è indubbio che subito dopo averne fatto la conoscenza, in me nacque prepotente lo strano desiderio di averla sempre accanto.
    Forse fu a causa dei miei comportamenti che lei ebbe modo di riconoscere quanti e quali risentimenti provassi nei confronti di mio padre, o forse fu soltanto per caso, ma un giorno si lasciò scappare una frase che mi pose in serie difficoltà.
    – Non prendertela con tuo padre, lui non era assolutamente al corrente di quanto stava per accaderti…Quell’uomo ti ha sempre voluto bene pur sapendo che non eri sua…
    Di li a pretendere spiegazioni fu questione di un attimo e lei, a malincuore, mi raccontò, per filo e per segno, quanto sapeva di tutta la storia
    Seppi così che l’uomo che credevo fosse mio padre in realtà aveva sposato mia madre per evitarle un’umiliazione.

    Mi occorsero diverse settimane per digerire quel po’ po’ di rospo tenendo per me tutto quel dolore, e vi assicuro fu un travaglio lungo e difficile che mi lasciò spossata e svuotata di tutta la malvagità che fino ad allora avevo manifestato nei confronti dell’uomo che aveva impedito ch’io finissi in una pattumiera.

    Fu in quel periodo, durante le silenziose e pigre giornate da trascorrere in solitudine in quella grande casa assolutamente vuota, che nacque la nuova Lisa.
    La mia mente tornò centinaia di volte alle poche cose che mia madre mi aveva detto di lui, cose che avevano macchiato la sua figura d’uomo descrivendolo come un essere insensibile, crudele e unicamente innamorato della sua terra.

    Malgrado la tensione emotiva e lo stato confusionale in cui mi dibattei nei giorni che seguirono quella rivelazione, riuscii a comprendere quanto dovevo a quell’uomo, però non fu facile superare lo scoglio del mio orgoglio; soprattutto perché nei suoi riguardi provavo ancora del risentimento e quel certo disagio che la sua presenza fisica mi procurava.
    In mio soccorso venne come al solito Sara, che poco a poco seppe ricondurre il mio tormentato spirito in un’ovattata e pacata normalità.
    E infatti fu lei, Sara, a mettere la parola fine a tutti i miei dubbi, inducendomi ad accettare una sfida, ovvero scoprire di persona cosa potesse essere quello strano legame che sa unire indissolubilmente una persona all’altra…ed io incautamente accettai quella sfida.

    Durante quei primi giorni di primavera, senza che potessi rendermene conto… avevo niziato a subire certi piccoli e insignificanti eventi… come ad esempio ciò che accadeva la sera…Era sufficiente che tramontasse il sole e il vecchio borbottone rientrasse dai campi, perché il mio stato emotivo si quietasse e tutto assumesse un colore diverso.
    La sua presenza animava la casa, le sue chiacchiere, le sue storie e di quel continuo borbottare, seppero, poco alla volta, sera dopo sera, trasformare le mie paure e le mie perplessità nella certezza d’essere viva.
    In quei momenti incantati, nei quali mi abbandonavo alla sua presenza e ai suoi racconti, sentivo crescere in me forze inesplorate che mi donavano una pace sconosciuta.

    Le cose andarono avanti più o meno così fin quando, una sera, stanca di dover continuamente lottare con la solitudine e la tristezza e mentre lui ammorbava l’aria della casa con la sua dannata pipa, presi il coraggio a due mani e gli chiesi se l'indomani avesse voluto portarmi con se nei campi.
    Come avevo ampiamente previsto egli oppose al progetto un'infinità di ragioni dipingendo catastrofiche conseguenze, che però, dopo tre ore di roventi discussioni crollarono per lasciare spazio ad un compromesso che, tutto sommato, sembrò accontentare entrambi.
    Oddio, è pur vero che avrei preferito vincere su tutti i fronti, ma pur di ottenere un risultato positivo accettai d’essere con lui nei campi il martedì, mercoledì e giovedì, mentre per i rimanenti giorni della settimana m’impegnai a dedicarli alla casa, ai miei giochi e allo studio.
    Al termine della discussione ero talmente elettrizzata, per quella mia prima raggiante vittoria, che suggellai il patto con un urlo che si propagò nell’intera fattoria.
    Quella sera m’infilai tra le lenzuola del mio letto totalmente ebbra di gioia e così compiaciuta di me che tardai a prendere sonno.
    Tant'è che mentre riesaminavo l'estenuante difesa delle mie ragioni, improvvisamente s'insinuò nella mia mente il sospetto che in realtà avessi fatto esattamente quanto egli desiderava facessi.
    Il mio primo istinto fu di saltare dal letto per andare a cantargliene quattro, ma memore del divieto di entrare nella sua camera senza permesso, mi limitai a chiamarlo ad alta voce
    – Pà, mi senti? (quella fu la prima volta da quando ero nella fattoria che lo chiamai con quel vezzeggiativo, lo stesso con cui Sara amava chiamare suo padre)
    Lui attese un attimo prima di rispondere
    – Credo ti abbia sentito anche Sheba nella stalla. Cosa vuoi?
    – Hai mai detto bugie?
    – E tu credi sia possibile vivere un’infanzia felice senza dirne neppure una? Si… quand'ero ragazzo devo averne sparate anche di quelle grosse
    – Ne dici ancora?
    – Santo cielo no! Ma cosa ti salta in mente?
    – Rispondimi, le dici ancora?
    – Certo che no!
    – Ne sei proprio sicuro?
    – Ehi terremoto, cos'è che frulla in quella testolina?
    – Te lo dirò tra poco, ora vorrei che tu rispondessi a due mie domande
    – Va bene, ma che siano soltanto due
    – Puoi dirmi perché cavolo hai creato tante difficoltà per impedirmi di venire nei campi con te?
    – Cos'è, vogliamo riprendere a discutere?
    – Vuoi farmi il favore di rispondere alla domanda?
    – Conosci quanto me il motivo, sei ancora troppo piccina per trascorrere intere giornate nei campi
    – Beh, io questo non lo capisco. Secondo te restarmene tutto il giorno a bighellonare senza combinare nulla di buono è il modo migliore per imparare?
    – Non ho detto questo
    – Smettila di trattarmi come una bambina, ormai ho l'età giusta per iniziare a darti una mano
    – Non avere fretta... sai bene che per te desidero soltanto il meglio
    – E farmi venire il nervoso per dodici ore ogni giorno è volere il meglio? Grazie... grazie tante!
    – Ho capito, ora riprenderemo a discutere...
    – No, scusami... il tuo è un pensiero gentile, non far caso a quello che dico... sono una stupida!...
    – Non sei una stupida, ma una ragazzina in gamba
    – Una ragazzina un accidente! – Mi ribellai punta sul vivo – Questa volta non ci casco e ti dirò ciò che penso... Tu sei il più grande bugiardo che abbia mai conosciuto
    – E tu un'impertinente da quattro soldi! Ma senti cosa mi tocca ascoltare. Io mi preoccupo per te e tu invece di...
    – Va bene, – Lo interruppi – te lo concedo... ti preoccupi per me...
    – Eh no mia cara! Tu non sei in grado di concedermi proprio nulla
    – Ah no? Allora spiegami perché ho l'impressione di aver fatto esattamente quello che tu desideravi che io facessi?
    – A proposito di cosa?
    – Porca vacca! Oltre che bugiardo sei un pessimo attore. Hai lasciato che mi spolmonassi per tutta la sera quando sapevi benissimo che alla fine avresti accettato di portarmi con te
    – La tua reazione è fuori luogo e mi offende. Sei una vera peste
    – E tu sei il peggiore dei bugiardi, porca vacca!
    – Ma senti tu
    – L'hai già detto!
    – Dovresti vergognarti... io... io...
    – Attenzione stai mentendo ancora
    – Cosa?
    – Stai mentendo, lo capisco dal tono della tua voce
    – Boia d'un mondo! Non credevo fosse così evidente
    – Allora è vero? Ma che figlio d'un... hmm, ma cosa credi che non abbia capito a cosa mira questa tua messinscena?
    – Bene, allora perché non lo fai sapere anche a me?
    – Tu speri di vedermi rotta dalla fatica, non è così?
    – Non è vero e queste tue parole mi offendono
    – Oddio scusami, non volevo... ma mi dici cos'altro posso fare se per conoscere come accidenti sei fatto debbo ogni volta farti andare fuori dei gangheri? Ti rendi conto che mai nessuno mi ha parlato di te? Io non ti conosco
    – Sei sicura di voler sapere com’è fatto un uomo impossibile?
    – E’ così stupito desiderare conoscere il proprio padre?
    – No… non lo è, ma permettimi di sorprendermi… Da quando hai di queste necessità… non mi pare che prima di stasera manifestassi tutto questo interesse, non è così?
    – Beh, sono cambiate un sacco di cose
    – Quali cose?
    – Vuoi la verità?
    – Certamente… io con te sono sempre sincero, quindi sarebbe bello se decidessi di farlo anche tu
    – D’accordo, te lo prometto, tra noi non ci saranno più bugie…
    – Bene, sto aspettando
    – Cosa?
    – Che tu mi dica per quale motivo ora t’interessa conoscere la mia persona
    – Mi vergogno pà… – sussurrai
    – Di me?
    – No, mi vergogno di me… mi vergogno di come mi sono comportata… mi vergogno per mia madre… Oddio com’è difficile
    – Ora cosa c’entra tua madre?
    Non risposi immediatamente ed egli cercò di cambiare argomento
    – D’accordo – disse – me lo dirai un’altra volta
    – No… devo farlo ora o non lo farò mai più… ma tu non dispiacertene… ciò che hai fatto per me è semplicemente meraviglioso
    – Non mi pare di aver fatto nulla di straordinario
    – No? Allora rispondi alla mia domanda… sei davvero mio padre? Il mio vero padre?

    Ci fu un lungo silenzio, poi improvvisamente lui apparve sulla soglia della mia stanza
    – No… – sussurrò scuotendo il capo
    – Allora chi sei in nome di Dio?
    – Che importanza ha
    – Ne ha tanta invece… Ricordi quando morì il papà di Sara? Ebbene io ho pianto con lei, per la prima volta nella mia vita ho sentito dentro di me il dolore di un altro… il suo stesso dolore… Io voglio avere un padre
    – Ufficialmente c’è l’hai un padre e sebbene tu non abbia nulla di me... io ti ho dato il mio nome
    – Perché?
    – Perché non volevo che la tua vita fosse sconvolta da una nascita illegale
    – Fu mia madre a chiederti di sposarla?
    – Si
    – E tu l’amavi?
    – Non lo so...
    – Allora perché hai commesso quella sciocchezza?
    – Mah… Forse perché non volevo che quel mio rifiuto avesse potuto causare la perdita di una vita…
    – Mia madre voleva abortire?
    – Ma perché mi fai domande così difficili… Quando tua madre mi chiese di aiutarla io pensai che… Mi vedi, sono sempre stato un uomo goffo, ma forse il desiderio di avere in moglie una donna molto bella non fu il mio pensiero prioritario… mi eccitava la certezza che avrei potuto avere un figlio.
    – Ho santo Iddio! Allora è vero, tu l’hai fatto per me?
    – Cosa vuoi… Io sono quello che sono e forse non sarò mai un granché come padre, non l’ho mai fatto e non saprò mai come comportarmi…
    – Beh… allora perché non lo scopriamo assieme
    – Se ti accontenti di avere un padre putativo
    – Anche Gesù aveva un padre putativo
    – Non allarghiamo il discorso a Gesù ti prego… Sei sicura di quello che hai appena detto?
    – Mai stata così sincera… Ora comprendo perché non sei mai venuto a trovarmi in città… sapessi quanto ti ho odiato quando vedevo gli altri bambini con i loro papà… mentre io avevo soltanto un nonno
    – Non amavi tuo nonno?
    – Si, certo… però avrei voluto avere anche un padre da amare

    Un lungo silenzio s’impadronì della casa, poi la voce squillante di lei sembrò voler dare nuova vita alla stanza
    – Non m’importa che tu non sia il mio vero padre… Dimmi soltanto una cosa… dimmi che non ti dispiace avermi tra i piedi
    Lui si avvicinò e sedette sul mio letto
    – Posso soltanto prometterti che saprò fare il mio dovere, fino in fondo
    – Dovrai fare di più… dovrai educami ad amarti
    – Compito difficile mia cara, ma tu dammene la possibilità e io ci proverò... Ora sai che razza d’uomo sono… sai bene che sono un povero vecchio bisognoso di aiuto
    – Porca vacca, non dovrei mai lasciarti la parola. Trovi sempre la maniera per imbrogliarmi. Ad ogni modo a me non importa che razza d’uomo tu sia... sei mio padre e io riuscirò a conquistarti… Ci riuscirò, vedrai che ci riuscirò!
    In quel momento non sapevo che stavo sfondando una porta aperta.

    Sebbene il primo giorno che mi recai nei campi non successe nulla di particolare, a buon diritto l’ho appeso al mio cuore tra i ricordi indimenticabili.
    Alzarmi dal letto quando l'alba non aveva neppure tinto il cielo, vestirmi tra uno sbadiglio e l'altro, bere in fretta una tazza di latte senza neppure avere il tempo per scaldarlo e trascinarmi lungo i viottoli per giungere ai campi, fu qualcosa che non soltanto mi scombussolò, ma mi lasciò in uno stato di stordimento per l'intera mattinata.
    Quella sera, mentre mi preparavo a entrare nel mio letto, mi venne di chiedermi se andare nei campi fosse stata una vera vittoria o soltanto l'inizio di una nuova serie di guai.
    Ad ogni modo, consapevole d'essere in parte responsabile di quella scelta, e soprattutto sapendo bene che da lui non avrei ottenuto sconti, in quei primi giorni della mia nuova avventura, neppure l'aria udì uscire dalle mie labbra un semplice lamento.
    E così fu per tutti i giorni che seguirono.
    Io continuai a svegliarmi quando era ancora buio e a seguirlo senza mai lamentarmi. (Al massimo, durante il tragitto, mi concedevo di arrancare a occhi chiusi aggrappata alla sua giacchetta)
    In realtà, quello di saltare dal letto prima che l'aurora illuminasse l'orizzonte, fu l'aspetto meno penoso se confrontato con ciò che mi attendeva la sera, quando distrutta dalla stanchezza dovevo assolvere a tutti quei piccoli compiti divenuti ormai di mia competenza.
    E se a ciò aggiungo lo strano comportamento di mio padre, il quale dopo aver svolto i suoi doveri nella stalla se ne rimaneva tranquillamente in poltrona a fumare la pipa, è possibile comprendere quanto poco invidiabile fosse la mia vita in quel periodo.

    Eppure, per quanta stanchezza potessi provare o per quanto i miei sentimenti si sentissero maltrattati, non mancai mai di assolvere ad ognuno dei miei doveri senza domandare né sconti e né aiuti.
    In quelle prime sere accadeva spesso che me ne salissi di sopra senza mettere nulla nello stomaco, e se aggiungo che ogni mattina quel vecchio brontolone anticipava la sveglia di qualche minuto, si fa presto a intuire in quali guai mi ero cacciata.

    (Certo che in quanto a disagi dovetti subirne una quantità impressionante, mentre l'unico che arrecai a lui fu quello di dovermi portare di peso nel mio letto quando mi addormentavo con la testa sulla tavola. Ma tutto sommato credo che al vecchio imbroglione tutto ciò non dispiacesse affatto.
    Poi, finalmente, dopo un lunghissimo mese di quella vita, il mio corpo iniziò a reagire così bene a quei nuovi ritmi, che quando al mattino lui scendeva di sotto, mi trovava in cucina indaffarata a preparare il pranzo da portare con noi nei campi.)

    Inizialmente il mio compito nei campi fu soltanto quello di tenere compagnia al vecchio brontolone, ma con il trascorrere dei giorni, sotto lo sguardo compiaciuto di lui, iniziai a svolgere, autonomamente, certi piccoli lavori.
    Quello non fu soltanto l'inizio di una nuova vita, ma la nascita dell'entusiasmante rapporto che in breve sarebbe sbocciato tra me e la terra. In poco tempo imparai ad amarla e rispettarla, finendo per sfacchinare sull'aratro e a svolgere ogni altro lavoro come se nella mia vita non avessi fatto altro.

    L'esordio del mio impegno nei campi coincise con l'inizio dell'evoluzione del mio metabolismo, che oltre a scatenare in me una discreta quantità di problematiche esistenziali, mi complicò l'esistenza trasformando il mio buon appetito in fame insaziabile.
    Mangiavo di tutto e a tutte le ore. A volte, durante la notte, scendevo di sotto a razziare quanto riuscissi a trovare di commestibile.
    In quel periodo perfino le cipolle crude divennero un boccone prelibato. Poi, quando Sara m’insegnò a preparare i dolci, in casa aleggiava perennemente il profumo delle torte di mele, delle quali, neppure a dirlo, ne divenni talmente ghiotta da ingrassare più del dovuto.

    Lui vide appesantire il mio corpo giorno dopo giorno, senza peraltro preoccuparsi più di tanto. Sapeva bene che il duro lavoro nei campi e soprattutto i processi catabolici del mio organismo, avrebbero provveduto a farmi riacquistare quelle che erano le mie caratteristiche naturali.

    Per la verità quella vita seppe fare assai di più, poiché oltre a trasformare il mio aspetto in quello di una gradevole forosetta, mi dotò di tutti quegli atteggiamenti disincantati e schiettamente contadini; come la spiccata parsimonia, la tolleranza, il profondo rispetto per le leggi della natura e soprattutto di quei gesti un po' ruvidi e sornioni che così bene caratterizzano la gente di campagna.
    In breve tempo mi compenetrai talmente bene in quel nuovo ruolo che quando capitavano alla fattoria venditori o ciarlatani che tentavano di vendere il sole di Agosto, riuscivo, pur dando di me l'impressione di una ragazza di campagna piuttosto belloccia ma decisamente sprovveduta, sempre a farli andar via felici e contenti di non averci venduto nulla.

    E a proposito di questo mio padre non era del tutto d'accordo.
    – Non dico che si debba comperare tutto ciò che ci presentano, ma dovranno pur mangiare anche loro
    – Non preoccuparti pà, – rispondevo con un sorriso – offro sempre loro un po' di pane, formaggio e un bel bicchiere d'acqua!

    L'adeguamento a quella nuova vita coinvolse anche il mio abituale abbigliamento, e sebbene continuassi a preferire i jeans alle gonne, iniziai ad adottare canottiere senza maniche, (Riguardo a queste c'è da dire che le preferivo rigorosamente rosa, ma a questo provvedeva personalmente Sara) un largo cappello di paglia sotto il quale raccoglievo i capelli ormai divenuti molto lunghi, e ai piedi grosse scarpe di cuoio.

    Con l'approssimarsi della stagione fredda le canottiere vennero sostituite da maglie di lana sulle quali indossavo sempre giacconi di panno molto variopinti, e il cappellone di paglia si trasformò in un berrettone che mi copriva le orecchie. Gli indumenti che non mutarono furono i jeans e le scarpe, ma se per i jeans avveniva una rotazione con un secondo paio che mi aveva regalato Sara, le scarpe rimasero sempre le stesse per la semplice ragione che erano le uniche che possedevo.

    E dire che quando lui me le regalò, ed io provai a infilarle ai piedi, quasi non riuscii a muovermi tanto erano dure e pesanti.
    Ad ogni modo quel piccolo problema, com'ebbi a definirlo, non m’impedì d'indossarle tutto il giorno, ma quando la sera salii nella mia camera e le sfilai dai piedi, avevo tante di quelle dolorose vesciche che non mi riuscì di chiudere occhio per tutta la notte.
    Il giorno successivo, (Dovendo recarmi nei campi, non potei astenermi dall'indossarle) per nascondere il disagio che provavo nel camminare, arrivai perfino a modificare l'andatura del mio incedere.
    Trascorsi una giornata d'inferno versando tutte le mie lacrime, e quando finalmente a sera inoltrata stavo per salire in camera mia, lui mi porse una minuscola scatola di metallo
    – Spalma un po' di questa roba sui piedi e fai un leggero massaggio – Disse fingendo un certo disinteresse – È un impiastro piuttosto ben riuscito
    – Ha un odore infernale, ma cos'è?
    – Non so dirti con quale porcheria sia stata preparata, noi la usiamo per risolvere un'infinità di problemi, ma quello che sa far meglio è curare gli zoccoli dei cavalli
    – Cosa centrano gli zoccoli dei cavalli con i miei piedi? – Chiesi deponendo la scatola sulla tavola
    – Nulla! Ma ho l'impressione che quelle scarpe siano un tantino dure. Non vorrei che...
    – Io non sono un cavallo! – Reagii arrabbiatissima – E poi non devi preoccuparti per i miei piedi, loro stanno benissimo
    – Di questo ne sono più che convinto, ma se la sera e la mattina ne spalmi un po' sui piedi, potrebbe rendere la pelle delle scarpe più morbida
    – Ma di cosa ti preoccupi, dei miei piedi o delle scarpe?
    – Delle scarpe accidenti! Cosa credi che possa permettermi di comperartene un altro paio?

    Forse fu la stanchezza a impedirmi di rispondergli a tono, e certamente dovetti vincere quel pizzico d'orgoglio che ancora aleggiava in me se accettai il dono con una buffa espressione di sufficienza dipinta sul volto, ma quando poco dopo nella mia camera tolsi le scarpe e vidi lo stato in cui erano ridotti i miei piedi, ritenni opportuno riporre l'orgoglio e, mordendomi le labbra per non gridare dal dolore, spalmai la schifezza sulle vesciche.
    Il mattino successivo scoprii con sorpresa che le vesciche si erano notevolmente ridotte e sebbene il dolore riuscisse ancora a farmi camminare danzando, le cose sembravano assai migliorate. Ad ogni buon conto, essendo quello un giovedì ebbi quattro giorni di tempo per consentire ai miei piedi di tornare alla normalità.

    Mentre i miei giorni trascorrevano colmi di lavoro e di fatica senza mai mutare di una virgola, qualcosa d’impreciso iniziò a maturare in me. Qualcosa che pur manifestandosi in forma leggera, esordì scombussolandomi emotivamente.
    All'inizio si rivelò semplicemente come un'esigenza fugace e per nulla indelebile, ma con il trascorrere dei giorni quella necessità portò alla luce della mia coscienza il prepotente bisogno della compagnia di mio padre.
    Scoprii così che il solo fatto di saperlo al mio fianco era per me la totale garanzia di serenità mentale e di benessere fisico. E pur non riuscendo a dare un senso a quella stranissima necessità, non riuscii mai a ricordare di avere vissuto momenti così sereni e colmi di equilibrio come quelli che stavo trascorrendo in quella fattoria.
    Quando raggiunsi la consapevolezza che tutto ciò traeva le sue origini dalle infinite attenzioni che lui mi riservava, (Sempre mascherate da brontolii e velati rimproveri) pensai bene di ricambiarlo nell'unica maniera che conoscevo, ovvero tentando di esaudire ogni sua richiesta con la più premurosa delle attenzioni.
    Immagino sia perfettamente inutile dire che quello strano e dolcissimo sentimento di tenerezza, alla fine mi creò qualche problemino in più.
    La domanda che in quel periodo mi assillò maggiormente fu la seguente; «se ciò che credevo di provare nei suoi confronti fosse rispetto e ammirazione, oppure soltanto gratitudine».
    E se istintivamente mi rifiutai di assegnare una qualsiasi etichetta a quelle suggestioni così adorabili, temendo di comprometterne il sapore, rimasi pur sempre un bel rompicapo da risolvere.
    Per la verità fui più volte sul punto di chiedere a lui spiegazioni su quanto mi stava accadendo, ma ogni volta un indistinto senso di pudore m’induceva a rimandare.
    Ricordo bene quanti libri sfogliai in quei giorni alla ricerca di un solo chiarimento paragonabile a ciò che provavo, e quando alla fine persi le staffe, abbandonai ogni ricerca inventandosi una definizione tutta personale «Stato emotivo complicato, ma estremamente piacevole.»
    Da allora scoprii un'infinità di piccoli particolari fino a quel momento assolutamente sconosciuti; ovvero come il suono della sua voce riuscisse sempre a tranquillizzarmi o come certi strani brividi mi percorressero il corpo quando lui mi scompigliava i capelli. Per non parlare di quel senso di voluttuosa ebbrezza che a volte riusciva a soffocarmi quando m’imbattevo nel suo sguardo sorridente…o di cosa mi accadeva la sera, quando vinta dalla stanchezza abbandonavo il capo sulla tavola ed egli mi prendeva tra le braccia portandomi nel mio letto.
    (Per la verità molto spesso fingevo di addormentarmi per godere di quell'emozione che si ripeteva ogni volta con la stessa intensità)
    Con il trascorrere dei giorni un'altra necessità prese a tormentarmi; dovevo riuscire a dare a quelle emozioni così intense e vibranti un nome più degno del semplice «Stato emotivo complicato, ma estremamente piacevole»
    Probabilmente lessi o sfogliai l’intera biblioteca esistente in soffitta, ma come era accaduto la volta precedente non trovai nulla in grado d'illuminarmi. (Per la verità trovai alcuni riferimenti, ma li scartai valutando che nessuno di loro riuscisse a definire esattamente quanto provava il mio cuore)
    Giunsi perfino, mettendo in mostra una monumentale faccia tosta, a recarmi in casa di Sara per chiederle se avesse potuto darmi spiegazioni su certe manifestazioni di cui dissi, mentendo, d'aver letto sui libri.
    Inutile aggiungere che Sara intuì perfettamente il senso di quella richiesta, e fingendosi impegnata in faccende, mi piegò molto chiaramente come quelle impressioni appartenessero alla sfera dell'amore. Ma quando iniziò a suddividere i vari aspetti di quel sentimento, preferii interrompere il dialogo affermando d'essere a conoscenza di quelle diversità. (Cosa del tutto inesatta, in quel momento a me era sufficiente sapere che quel turbamento avesse finalmente un nome importante; Amore)
    Nel preciso istante in cui presi coscienza di quanto stava accadendomi, il mio stato di allerta mi confermò che qualcosa di sconosciuto alla mia esperienza stava per accadere, ed ebbi paura…una paura irrazionale, quasi folle, che per un paio di giorni mi rese scontrosa e intrattabile con tutti. Fu Sara ad accorgersi di quel mio stato di difficoltà e una mattina mi chiese di fare una gita con lei in bicicletta…Durante quelle due ore lei riuscì a quietare il mio spirito, rassicurandomi che quanto stava accadendo al mio cuore poteva essere spiegato dalla nostra stessa natura di donne.
    Quando tornai a casa ero un’altra ragazza…finalmente sapevo d’essere capace di amare.

    L'aria già pungente lasciava presagire un rigido inverno, e sebbene le vetta delle montagne fossero da alcuni giorni avvolte di nuvole scure, li, nella valle, il cielo si manteneva completamente sereno.
    Impiegai l'intera mattinata del 7 Novembre a svolgere i miei impegni nella stalla e in casa e soltanto sul tardi, quando decisi di condurre gli animali nel recinto di pascolo, il mio stomaco mi rammentò di non aver ancora fatto colazione.
    Per non mettere sottosopra in cucina mi tagliai due gigantesche fette di pane farcendole con burro d’arachide e un'abbondante porzione di carne salata, quindi, infilato un libro sotto il maglione m’incamminai verso la collina dando inizio ad una feroce battaglia con quella carne fin troppo dura anche per i miei denti.
    Raggiunta la cima sedetti sotto la quercia dedicandomi ad osservare la figura di mio padre intento a riparare una parte di recinto e per una buona mezz'ora (Tanto mi occorse per terminare vittoriosa la mia guerra con la carne salata) rimasi ad osservare ogni sua mossa, poi, improvvisamente, forse a causa della stanchezza, mi addormentai.
    Quando mi svegliai sedetti poggiando le spalle alla quercia e iniziai a leggere.
    Le ore successive volarono, e soltanto quando la scarsa luminosità del cielo m’impedì di proseguire nella lettura che decisi di avviarmi verso casa.
    Vedendomi trotterellare infagottata in quel mio giaccone variopinto mio padre si fermò ad attendermi. Depose gli attrezzi e quando lo raggiunsi si chinò per darmi un bacio sui capelli.
    – Ciao! – Disse rimanendo chinato per legarsi la stringa di una scarpa – Ma cosa ci vuole per farti scendere di lassù?
    Mi strinsi nelle spalle e sorridendo mormorai – Tu
    – Fa un freddo cane, ti sarai congelata
    – Neppure tu devi essere troppo allegro, sarai stanco e infreddolito. Ho lasciato dell'acqua sul fuoco, sarà ancora calda
    Rialzandosi lui mi prese tra le braccia e facendomi volteggiare nell'aria mi pose sulle sue spalle brontolando risentito
    – Ti sembro stanco?
    Io si strinse a lui
    – Fammi correre pà! – Gridai – Fammi volare
    Accelerando il passo lui si avviò verso casa, mentre io stringendomi forte a lui ridevo contenta.

    Come sempre accadeva durante la cena, gli raccontai la mia giornata
    – Tu sei stato bambino? – Chiesi interrompendo il mio racconto
    – Cosa credi che sia nato con questa barba?
    – Com'eri? Voglio dire, eri un bel bambino?
    – Oddio non lo so, ma certamente non bello quanto te
    – Sognavi mentre dormivi?
    – Certamente, tutti sognano
    – E ora che non sei più un bambino sogni ancora?
    Lui mi guardò sorpreso annuendo – Altro che! Ora sogno perfino ad occhi aperti
    – E cosa sogni?
    – A volte sogno il tempo in cui ero ragazzo
    – Ti andrebbe di raccontarmi com'eri?
    – Beh, questo non lo ricordo, ma rammento bene com'era la vita di un bambino di campagna di allora
    – Era come la mia?
    – Immagino di si
    – A me piace vivere in campagna
    – Non diciamo sciocchezze...da queste parti non si può certo dire che si viva una vita comoda
    – No, è vero, ma a me piace. – Commentai guardandomi le palme delle mani già segnate da grosse callosità – Avevi anche tu un padre?
    – Avevo un padre e una meravigliosa madre
    – Com'era tuo padre?...Voglio dire, era buono con te?
    – Buono e severo, ma di una severità che apparteneva ad un mondo antico difficile da comprendere
    – Vuoi parlarmi di lui? – Chiesi
    – Farò di più, – Mormorò lui mentre la sua voce si addolcì e lo sguardo sembrò perdersi lontano alla ricerca di cose racchiuse nel profondo del suo cuore – ti racconterò il ricordo più dolce che ho di lui
    Seduta al suo fianco, con il capo poggiato sulla tavola annuii sorridendo.

    – « Mio padre era un taglialegna come tanti altri uomini del mio paese, un piccolo meraviglioso nido d’anime arrampicato sulle montagne dell'Appennino Campano. Si viveva in armonia, ma anche in una estrema indigenza. In quegli anni a cavallo del 1800 e il 900, vivere era molto più che un'avventura, era una continua lotta contro ogni tipo di avversità. E per gli uomini e le donne della montagna, la vita era davvero breve.
    Eppure, spezzandosi la schiena nei boschi egli riuscì a dare a me e a mia madre la possibilità di vivere una vita decente.
    Era molto diverso dagli altri uomini che conoscevo, di lui mi piace ricordare la quieta tranquillità, la sorridente gentilezza e quella serenità interiore che sapeva trasmettere in chiunque gli era accanto, e per quanto riesca a ricordare, mai nessuno ha udito una sola parola scortese uscire dalle sue labbra. Il suo buonsenso era così proverbiale che molti uomini importanti si lasciavano guidare dai suoi consigli.
    Era straordinariamente colto, ma ciò che di lui apprezzavo maggiormente era la sua profonda conoscenza delle cose. Era incredibile, ma tra lui e gli uomini, gli animali, le piante, il vento, la pioggia ed ogni altra cosa del creato, esisteva un intimo e personalissimo rapporto che sfuggiva ad ogni comprensione.
    Quando raggiunsi i sei anni d'età egli volle che frequentassi la scuola, impedendomi così d'iniziare quella sua stessa vita nei boschi colma soltanto di fatica e d'infinita solitudine.
    In quegli anni il mio paese non poteva offrire che le prime classi elementari, e così, quando terminai quel ciclo di studi, egli decise di mandarmi a vivere a Napoli, in casa di suo fratello, per darmi la possibilità di proseguire negli studi..."

    – Lasciasti il tuo paese? – Chiesi interrompendolo
    – Dovetti farlo
    – Ti dispiacque?
    – Io credo che a quell’età nessuno dovrebbe abbandonare gli affetti più cari, è talmente doloroso che sembra di morire e forse qualcosa muore davvero dentro di noi. Quando partii lo feci con tanto dolore sapendo di dovermi allontanare dal caldo affetto di mia madre...e dal burbero modo di vivere di mio padre
    – È così difficile lasciare la casa in cui si è nati? – Domandò Lisa interrompendolo nuovamente
    – È molto più che difficile...Una casa è un amore che ti entra dentro, che cresce con te
    – Perché accettasti? Non potevi rifiutare?
    – No, era mio padre a guidare le nostre vite. Io e mia madre dipendevamo esclusivamente da lui e non potevo oppormi alle sue scelte. La società in cui si viveva allora non prevedeva certe autonomie che invece oggi sono riconosciute ai giovani
    – Io credo che tuo padre non ti amasse, altrimenti non ti avrebbe privato delle cose che avevi più care
    – Lascia che termini il racconto e se poi riterrai di farlo potrai esprimere il tuo giudizio
    – Scusami sono un vero disastro, continuo sempre a valutare le azioni degli altri usando il mio metro

    – «...Da allora e per molti anni la mia vita si svolse lontana dalla mia casa, ma nel mio cuore rimase come un marchio di fuoco il ricordo del giorno che partii.
    Era un Ottobre magnifico, e a dispetto del predominante autunno l'aria si manteneva ancora calda.
    Sul marciapiedi della stazione, in attesa del treno che mi avrebbe portato via, c'eravamo soltanto noi, tre esseri con il cuore in pezzi.
    Lui, il grand'uomo, ormai sulla quarantina, basso, già curvo, con in capo il cappello sbilenco, i pantaloni un po' calanti e la giacca di mezza lana sotto la quale spuntava una camicia di ruvida stoffa senza il colletto. Per tutto il tempo che attendemmo non pronunciò una sola parola, ma quei suoi occhi grigi come l'acciaio mi dissero quanto dolore aveva nel cuore da riuscire a sentirlo urlare.
    Io e mio padre ci salutammo così, piangendo dentro, senza che nessuno ci vedesse.
    E poi lei, la mamma...bellissima, con quel suo volto pallido che le conferiva un’aria adorabile e i capelli già bianchi fermati sul dietro della nuca da un'infinità di forcine. I suoi occhi chiari e grandi come universi sognanti erano la finestra della sua anima, guardando nelle loro profondità era possibile scorgervi uno smisurato vigore appena sopito da un'umana tristezza. Lei, dolcissima, che non cessava un attimo di accarezzarmi con quelle sue mani già rovinate dalla fatica, ma così capaci d'infondermi quel coraggio di non piangere che altrimenti non avrei saputo trovare.

    Da quel giorno trascorsero molti anni, ed io crebbi lontano dal burbero modo di vivere di mio padre e dal caldo affetto di mia madre. Le sue carezze mi mancarono moltissimo, e nei primi anni di quell'esilio le mie notti furono colme di disperazione e pianto.
    Tutti i mesi mio padre m'inviava un po' di denaro, per la verità erano pochi soldi, ma servivano affinché non gravassi troppo sulle spalle della famiglia di mio zio.
    Il tempo passò e io crebbi. Avevo diciassette o forse diciotto anni, quando un giorno, in compagnia di alcuni amici, mi recai in un locale non propriamente per gente per bene, e li, in poche ore sperperai tutto il danaro che avevo ricevuto da casa, lasciando anche qualche debito.
    Quella stessa notte mi rigirai nel letto senza riuscire a chiudere occhio per la consapevolezza di quello che avevo fatto. Mille idee mi attraversarono la mente, e non fu davvero facile trovare una soluzione. Giunsi perfino a pensare di vivere alle spalle della famiglia di mio zio fino a che non avessi ricevuto altri soldi da casa, ma per mia fortuna l'orgoglio m’impedì di commettere altre sciocchezze.
    Soltanto alle prime luci dell'alba riuscii a prendere una decisione.
    Uscii di casa molto presto informando gli zii che sarei andato a fare visita ai miei, e con gli ultimi centesimi che mi erano rimasti acquistai un biglietto per tornare al mio paese.
    Sul treno riuscii in qualche modo a non pensare al mio problema, ma quando vidi le prime case, appollaiate sul fianco della montagna imbiancata di neve, tutto il mio coraggio si dileguò lasciandomi il più misero degli uomini, e quando scesi dal treno sentii le ginocchia piegarsi.
    Mi avviai verso casa sotto una fitta nevicata, e cosa che non avrei mai immaginato potesse accadermi, mi accorsi di rallentare l'andatura ad ogni passo; quasi non volessi più raggiungerla.
    Quel lento e doloroso cammino fece di me un altro uomo, e quando entrai in casa mia madre mi guardò con uno sguardo talmente colmo d'angoscia, che dovetti faticare per tranquillizzarla sulla mia salute.
    – Tu conosci le nostre possibilità, – Mormorò lei sedendo sconsolata dopo che l'avevo messa a parte del mio problema – io non so proprio come tuo padre possa aiutarti
    – Potrebbe farseli prestare – Azzardai senza avere il coraggio di guardarla negli occhi
    Lei mi venne accanto, mi accarezzò e sollevandomi il volto mi guardò fisso, poi, scuotendo il capo sussurrò
    – Ssst...non preoccuparti, troveremo una soluzione
    Dovevo essere veramente fuori di me, poiché per la prima volta credetti di non capire mia madre.
    Quello che provai in quegli attimi non è facile da descrivere. Una marea di sentimenti contrastanti gravarono la mia coscienza. Provai vergogna, paura, risentimento e tanta voglia di fuggire lontano, ma per quell'invisibile rapporto che lega ogni madre ai propri figli, ella intuì ciò che vorticava in me e con quella sensibilità che l'aveva sempre distinta, iniziò a colmarmi di attenzioni che finì per mitigare il mio tormento.
    Accese il fuoco nel camino, e mentre indossavo un abito asciutto si recò nel pollaio obbligandomi poi a bere due uova.
    Fu allora che per la prima volta le vidi fare una cosa che mi lasciò senza fiato. Con quel coraggio che le ho sempre invidiato, ella mise tra le mie mani un bicchiere colmo di quel vino che mio padre teneva gelosamente sotto chiave.
    – Mamma, – Sussurrai sentendomi bruciare quel bicchiere tra le dita – se ne accorgerà
    – Certo che se ne accorgerà. – Rispose lei con voce calma – Ma questo è un mio problema...non ti preoccupare e bevi lentamente
    E se allora fui in grado di comprendere il senso di quell'atto non fu per quel liquido vermiglio, ma fu il suo coraggio a dirmi che l'avrei avuta ancora e sempre la mia amatissima alleata...»

    – Tua madre si schierò con te... – Sussurrai portando le mani alle labbra
    – Si, aveva volontariamente mancato alla promessa fatta a mio padre di non darmi vino fino alla maggiore età
    – Oh mio dio! – Esclamai sentendo gli occhi riempirsi di lacrime

    «...Sorseggiando quel vino mi tornarono alla mente le tante volte che da piccino m'incantavo ad osservare l'immagine di mio padre centellinare quel nettare...e forse fu quel suo gesto o più semplicemente il tepore del camino, ma mi addormentai sulla panca, e quando più tardi mi svegliai mio padre era dinanzi a me ad asciugarsi alla fiamma gli stivali fradici e sporchi di fango.
    – Buongiorno! – Sussurrai a voce bassa mentre il cuore prese a martellarmi il petto
    Lui sollevò il capo, mi lanciò uno sguardo e annuì. Poi si alzò, prese quanto mia madre gli aveva preparato per il pranzo e uscì tornando nei boschi.
    Ebbi bisogno un po' di tempo per riprendermi, e quando sentii di poterlo fare chiesi a mia madre se glielo avesse detto, ed ella confermò con un cenno del capo.
    – Cos'ha risposto? – Domandai
    – Ha voluto sapere come stessi – Mormorò lei uscendo dalla stanza
    Quella non fu una giornata facile da trascorrere. Le ore sembrarono allungarsi rendendo il mio disagio sempre più pesante, e se una parte di me, per il timore di affrontare ciò che inevitabilmente sarebbe accaduto la sera, avrebbe desiderato che il tempo si fermasse, l'altra parte, quella nella quale sento di riconoscermi, desiderava invece che in un modo o nell'altro venisse sera.
    E poi fu sera.
    Quando mio padre rientrò non mi rivolse una sola parola e soltanto a tavola, durante la cena, mi parlò, ed io rimasi ferito dal tono di quelle poche parole che mi rivolse.
    – Domani tornerai a Napoli con il treno delle sei. – Disse guardandomi fisso negli occhi – Andrai a piedi alla stazione, il cavallo occorre a me
    Terminato di mangiare egli salì di sopra, e osservando il suo incedere stanco ebbi l'impressione d'aver perso mio padre. Ma fu solo per un attimo, poiché quando in cima alla rampa si arrestò e si voltò a guardarmi, sentii il suo sguardo sfiorarmi in una burbera carezza.
    Il mattino seguente mia madre mi svegliò prima dell'alba. Faceva freddo e fuori nevicava forte.
    – È giù che ti aspetta, vestiti in fretta! – Disse carezzandomi per infondermi coraggio
    Quando scesi di sotto lui era già fuori, in groppa al cavallo, avvolto nel suo mantello ormai carico di neve, e quando alla luce della lampada che mia madre mi aveva messo tra le mani lo guardai negli occhi, mi sentii male.
    La sua voce mi giunse di lontano, quasi venisse da un mondo diverso, migliore
    – « Non saprò mai quanto possa esserti costato ammettere il tuo errore, ma l’hai fatto…e ti ringrazio d’aver pensato a me. Sono tuo padre, ricordalo sempre »
    Poi trasse una mano di sotto il mantello e me la tese – Tieni! – Disse con voce roca – Prendilo, è tuo!

    Quelle poche parole, sussurrate senz'alcuna ostilità, furono per me un solco nell'anima. Non ebbi il coraggio di aprire bocca, mi mancò perfino la forza di respirare. Rimasi a guardarlo allontanarsi in un turbinio di neve. Poi, quando abbassai gli occhi e vidi il danaro che stringevo nella mano, provai un dolore così grande che lacerandosi, la mia coscienza mi disse che quella ferita non si sarebbe mai più rimarginata.»

    Terminato il racconto egli si volse verso di me che, con il capo ancora sulla tavola e gli occhi appannati dal sonno, stavo osservando il suo profilo illuminato dal riverbero dorato delle fiamme. Mi sfiorò i capelli ed io, riconoscendo la carezza, presi la sua mano portandola alle labbra, poi, saltando dalla sedia mi arrampicai sulle sue ginocchia serrandogli le braccia al collo.
    – Ti eri addormentata? – Domandò lui
    Con la voce rotta dalla commozione scossi il capo sussurrando – Avevi ragione tu, lui ti voleva bene. Dio come avrei voluto conoscerlo! Doveva essere veramente un grand'uomo
    – Sono certo che avresti saputo conquistarlo. Lui avrebbe desiderato anche una figlia e tu saresti stata capace di renderlo un uomo felice

    Sentii che non sarei stata in grado di pronunciare una sola parola, ma tra lacrime d'amore e di appassionato entusiasmo riuscii a sussurrare
    – Ti voglio bene pà…
    Poi mi rannicchiai tra le sue braccia e lui prese a salire le scale.

    Quella sera, per la prima volta, le mie labbra infantili balbettarono una preghiera in cui l'amore per mio padre e la certezza di Dio si confusero in un unico sentimento.
  7. .


    “…Questo è il Serchio
    al quale hanno attinto
    duemil’anni forse
    di gente mia campagnola
    e mio padre e mia madre…

    (Giuseppe Ungaretti,
    da “I fiumi” 1916)”


    "Ripafratta"
    By Mario Cotrozzi
    Dedicata ai miei genitori

    Sai mà, sai pà…
    ricordo ancora quando
    mi leggevate queste rime
    nei meriggi che trascorrevamo
    a bighellonar sul fiume.
    Erano quelli gli anni della guerra,
    degli orrori da dimenticare
    e dei dolori mai sopiti.

    Ne è passato di tempo,
    ma quel nostro paese l'ho
    spillato sul mio cuore
    e se chiudo gli occhi
    mi tornano alla mente
    i suoi colori,
    i suoni, le voci
    del suo fiume.
    I profumi
    e quella quieta austerità
    d'antiche mura
    che dal colle dominavano silenti.

    Rivedo la piccola stazione,
    incastonata
    nell'ombroso viale
    verso Lucca,
    la via sterrata volta
    all'ultima dimora,
    domicilio nostro e delle
    antiche schiatte.
    La forgia scintillante
    e la possente ruota
    che muoveva la pietra
    per molare.

    Questa sera
    deve avermi
    sfiorato un angelo,
    poiché odo ancor
    diffondersi nell'aria
    il colpo doppio
    sul maniscalco corno,
    l'aspro odor di zoccolo
    dei cavalli da ferrare,
    lo scroscio della fonte
    e la campana del
    passaggio ferroviario.

    Della tua casa, pà,
    ricordo gl'innumerevoli
    gradini,
    la vaste stanze
    e quell'austera madia
    dove in panni immacolati
    la nonna affidava al
    tempo il pane.

    Sul retro l'orto,
    che il nonno
    lavorandolo a piccole terrazze
    s'acquistava il colle.

    Più avanti,
    all'ombra di una antica chiesa,
    v'è l'asilo avvolto nell'alloro…
    e quel negozio,
    di cui mi sfugge il nome,
    dove frammisti
    ai volti della gente,
    m'incantavano i profumi
    e quelle ironiche battute
    con la "C" mancante.

    Nell'agreste quiete
    dei tramonti
    odo ancor le nostre voci,
    che al vespero ci
    davam nei campi
    e quei fruscii
    di macchie lungo il fiume
    ch'erano cornice
    alla steccaia spumeggiante.

    Io son li,
    su quel sentier che
    serpeggiando il colle,
    mi guidava all'albero proibito
    e di lassù,
    dove i sogni sapevano volare,
    la tua casa, mamma,
    m'incantavo ad osservare.

    Oh si,
    mi ricordo di quella
    grande casa silenziosa
    dove tutto m'era dato
    per amore
    e di quell'ombrosa
    stanza profumata
    d'aromi di timo e rosmarino,
    dove ogni ombra sembrava
    aleggiasse viva,
    ma dove a me non era
    concesso entrare.

    La vedo ancor com'era allora,
    col suo camino ardente
    sotto la vasta scala,
    luogo e tempo in cui
    la schiva gente di famiglia
    i Cotrozzi e i Batacchi,
    la sera s'incontravan.

    L'odore antico
    dell'arredo scuro
    ed imponente,
    gli scricchiolii del legno
    che di notte
    m'incutevano spavento,
    i rintocchi della pendola francese,
    le vostre fiabe,
    i sogni,
    i dolci,
    le troppe stanze silenziose
    e quell'ombrosa córte
    dominata dall'imminente rocca.

    Financo lei ricordo,
    fresca lama d'ombra
    dei meriggi lungo la statale,
    luogo colmo
    di amorevoli presenze
    e d'infinite confidenze,
    che non appena sussurrate
    guizzavano nel Serchio,
    per avviarsi poi,
    ad arricchire il mare.

    Dio come vorrei ciottolare
    ancora quei sentieri
    aggrappato alle vostre mani.
    Vorrei spaziare,
    vorrei migrare,
    vorrei che il tempo si torcesse,
    e voi, amori miei,
    mi veniste incontro,
    per assopirmi ancora
    sui vostri cuori.

    Nulla è mutato nel mio cuore;
    voi e quel sorriso
    che mai faceva da scudo
    al vostro viso.
    Il caldo nido
    e il ricordo vostro
    m'han donato
    il sapore dell'antico
    ed io lo porto in me
    questo nostro
    dolcissimo paese.


  8. .
    Grazie a teì
  9. .
    Grazie a teì
  10. .
    Ripafratta





    “…Questo è il Serchio
    al quale hanno attinto
    duemil’anni forse
    di gente mia campagnola
    e mio padre e mia madre…


    (Giuseppe Ungaretti,
    da “I fiumi” 1916)”


    "Ripafratta"
    By Mario Cotrozzi
    Dedicata ai miei genitori

    Sai mà, sai pà…
    ricordo ancora quando
    mi leggevate queste rime
    nei meriggi che trascorrevamo
    a bighellonar sul fiume.
    Erano quelli gli anni della guerra,
    degli orrori da dimenticare
    e dei dolori mai sopiti.

    Ne è passato di tempo,
    ma quel nostro paese l'ho
    spillato sul mio cuore
    e se chiudo gli occhi
    mi tornano alla mente
    i suoi colori,
    i suoni, le voci
    del suo fiume.
    I profumi
    e quella quieta austerità
    d'antiche mura
    che dal colle dominavano silenti.

    Rivedo la piccola stazione,
    incastonata
    nell'ombroso viale
    verso Lucca,
    la via sterrata volta
    all'ultima dimora,
    domicilio nostro e delle
    antiche schiatte.
    La forgia scintillante
    e la possente ruota
    che muoveva la pietra
    per molare.

    Questa sera
    deve avermi
    sfiorato un angelo,
    poiché odo ancor
    diffondersi nell'aria
    il colpo doppio
    sul maniscalco corno,
    l'aspro odor di zoccolo
    dei cavalli da ferrare,
    lo scroscio della fonte
    e la campana del
    passaggio ferroviario.

    Della tua casa, pà,
    ricordo gl'innumerevoli
    gradini,
    la vaste stanze
    e quell'austera madia
    dove in panni immacolati
    la nonna affidava al
    tempo il pane.

    Sul retro l'orto,
    che il nonno
    lavorandolo a piccole terrazze
    s'acquistava il colle.

    Più avanti,
    all'ombra di una antica chiesa,
    v'è l'asilo avvolto nell'alloro…
    e quel negozio,
    di cui mi sfugge il nome,
    dove frammisti
    ai volti della gente,
    m'incantavano i profumi
    e quelle ironiche battute
    con la "C" mancante.

    Nell'agreste quiete
    dei tramonti
    odo ancor le nostre voci,
    che al vespero ci
    davam nei campi
    e quei fruscii
    di macchie lungo il fiume
    ch'erano cornice
    alla steccaia spumeggiante.

    Io son li,
    su quel sentier che
    serpeggiando il colle,
    mi guidava all'albero proibito
    e di lassù,
    dove i sogni sapevano volare,
    la tua casa, mamma,
    m'incantavo ad osservare.

    Oh si,
    mi ricordo di quella
    grande casa silenziosa
    dove tutto m'era dato
    per amore
    e di quell'ombrosa
    stanza profumata
    d'aromi di timo e rosmarino,
    dove ogni ombra sembrava
    aleggiasse viva,
    ma dove a me non era
    concesso entrare.

    La vedo ancor com'era allora,
    col suo camino ardente
    sotto la vasta scala,
    luogo e tempo in cui
    la schiva gente di famiglia
    i Cotrozzi e i Batacchi,
    la sera s'incontravan.

    L'odore antico
    dell'arredo scuro
    ed imponente,
    gli scricchiolii del legno
    che di notte
    m'incutevano spavento,
    i rintocchi della pendola francese,
    le vostre fiabe,
    i sogni,
    i dolci,
    le troppe stanze silenziose
    e quell'ombrosa córte
    dominata dall'imminente rocca.

    Financo lei ricordo,
    fresca lama d'ombra
    dei meriggi lungo la statale,
    luogo colmo
    di amorevoli presenze
    e d'infinite confidenze,
    che non appena sussurrate
    guizzavano nel Serchio,
    per avviarsi poi,
    ad arricchire il mare.

    Dio come vorrei ciottolare
    ancora quei sentieri
    aggrappato alle vostre mani.
    Vorrei spaziare,
    vorrei migrare,
    vorrei che il tempo si torcesse,
    e voi, amori miei,
    mi veniste incontro,
    per assopirmi ancora
    sui vostri cuori.

    Nulla è mutato nel mio cuore;
    voi e quel sorriso
    che mai faceva da scudo
    al vostro viso.
    Il caldo nido
    e il ricordo vostro
    m'han donato
    il sapore dell'antico
    ed io lo porto in me
    questo nostro
    dolcissimo paese.


  11. .
  12. .
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    Che Dio ci protegga!
  14. .
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    Notizie sul mio pianeta nativo e inizio della mia vita sulla Terra

    Per chiarire e porre nella giusta luce la mia presenza sulla Terra, (Il mio nome è Cristi, me lo scrisse mia madre sul ventre prima di morire e sono una femmina.) è indispensabile che vi riporti alcune notizie riguardanti la storia di G (chiamerò cosi il mio pianeta).
    GAUSS è il secondo pianeta di un sistema stellare multiplo della costellazione del 7° Anello.
    Alcune di queste notizie le ho ricavate da documenti custoditi negli archivi di una città che chiamerò “La città segreta”, luogo in cui tuttora vivono alcuni discendenti della mia gente che scese sulla Terra circa 15.000 anni prima della nascita di Cristo. Altre indicazioni le ho attinte dalle lacunose relazioni che gli attuali responsabili del mio pianeta trasmisero al mio popolo della Terra, nell’intento di nascondere il vero scopo della mia missione.
    Il rimanente è uno stralcio della traduzione (Purtroppo non integrale) di un messaggio proveniente dal mio Pianeta.
    #
    Come già accennato, G è il secondo pianeta in ordine di distanza dai due soli (I cui nomi non li riporterò in quanto assolutamente intraducibili e che, per un paradosso cosmico, non ruotando l’uno attorno all’altro, non provocano anomalie gravitazionali), attorno ai quali si muovono altri 27 corpi celesti. Sebbene indizi certi dimostrano che il mio sistema vide il sorgere della vita in epoche che si perdono nella notte dei tempi, GAUSS è l’unico pianeta, sul quale furono rinvenute tracce della evoluzione di una razza il cui aspetto fisico era del tutto simile a quello terrestre.
    Notizie risalenti a milioni di secoli prima che iniziasse la mia storia, descrivono G come un pianeta (Per quanto riguarda le condizioni attuali non mi è possibile averne un riscontro) avvolto da un atmosfera composta di vari elementi tra i quali l’ossigeno, nella quantità del 24,5%, l’azoto del 70,5%, l’idrogeno, anidride carbonica, ozono ecc. ecc.
    Per quanto concerne il suo raggio equatoriale posso affermare, con sufficiente approssimazione, che tuttora debba essere calcolato attorno ai 162.271 Km terrestri.
    In epoche lontane l’habitat di GAUSS era controllato da un così perfetto eco sistema da renderlo un vero paradiso; i suoi tre continenti, emergenti da un unico oceano, erano interamente coperti di lussureggianti foreste, di altissime montagne e vasti laghi d’acqua dolce.
    Il suolo fertile, ricco di messi e di sterminati pascoli ubertosi, ospitava interminabili teorie di greggi. Dalle profonde foreste vergini, dove era possibile udire lo svolgersi della vita animale, libera e incondizionata, si levavano in volo frotte di uccelli dai più vivaci colori che popolavano e allietavano le riviere, i giardini e le dolci colline dei centri abitati, ed è per questa ragione che meritò l’appellativo di pianeta della pace, delle scienze e culla di una nobilissima civiltà che illuminava l’intero 7° Anello.
    (Molto prima che iniziasse la mia storia, le cose sul mio pianeta erano notevolmente cambiate a causa di innumerevoli guerre che lo avevano deturpato. Tra gli errori più tragici che la scelleratezza degli esseri che popolavano il 7^ Anello ebbero a causargli, il peggiore fu la modifica dell’angolo del suo asse, la qual cosa, oltre che a mutarne l’orbita da ellittica in circolare, rallentò drasticamente il suo moto di rivoluzione con l’inevitabile riduzione della distanza dai i due soli. Ciò coincise con l’aumento della temperatura che determinò la totale scomparsa della vegetazione, quindi degli animali vegetariani e successivamente dei carnivori.
    Altro tragico effetto fu l’evaporazione del grande oceano che in breve si ridusse ad lago talmente piccolo e così salato, da non occupare più del 0005% dell’emisfero Nord. Ovvero la parte non direttamente colpita dai raggi dei due soli
    Quello che era stato l’emisfero meridionale si trasformò in un unica enorme fornace dove le temperature oscillavano tra i 212 e i 300 gradi Fahrenheit terrestri.
    Di conseguenza, in seguito, anche il mio popolo subì notevoli mutazioni e i 5 milioni di esseri che, all’epoca dell'inizio della mia storia restavano del grande popolo, si erano raggruppati in poche città edificate attorno alla calotta polare artica, dove le temperature notevolmente basse consentivano un minimo di sopravvivenza.)
    Godendo della capacità di utilizzare il 64% del potenziale cerebrale, (Che ci concesse la supremazia tecnologica e scientifica su di ogni altra razza appartenente al 7^ Anello) la mia razza offrì la sua intera conoscenza al benessere dell’intera galassia, ove una quantità innumerevole di razze diverse nell’aspetto e nello spirito, riuscivano a convivere pacificamente.
    (Per mantenere quello stato di benessere, le autorità centrali si videro costrette a prendere severi e crudeli provvedimenti nei confronti di razze nomadi e di altre razze appartenenti a galassie meno fortunate, per scoraggiare mire espansionistiche.)
    Mentre i popoli del 7° Anello si giovarono di quanto la mia razza metteva a loro disposizione, la mia gente non soltanto scelse di dedicare ogni suo interesse allo studio e alla ricerca, ma di rimanere al di fuori di qualsiasi bega politica, commerciale o militare che fosse.
    Con il passare di innumerevoli generazioni e senza che nessuno se ne rendesse veramente conto, in alcuni esseri di G iniziarono ad affiorare capacità così elevate e sorprendenti da permetterci di utilizzare il 98% del nostro potenziale neuronico.
    (Se si tiene conto che la maggior parte del mio popolo era in grado di sfruttare normalmente il 64% di quel potenziale, è indubbio come ciò ci elevasse oltre la condizione umana, ponendoci su un piano di pura forza energetica. Infatti, utilizzando quelle nuove capacità raggiungemmo limiti ritenuti fino ad allora inaccessibili. Le nostre menti furono in grado di impiegare una nuova energia, prodotta coscientemente dal nostro cervello, che ci permise di raggiungere l’elaborazione dei concetti fondamentali della creazione).
    Ma se quella nuova capacità ci condusse alla scoperta che ogni nostra potenza risiedeva in un minuscolo componente del nostro cervello, al quale fu assegnato il nome di “Modulo”, nello stesso periodo di tempo in cui si concluse questa parabola evolutiva, si deve registrare una lenta mutazione dell’indole in tutto il mio popolo.
    (Non è dato sapere con certezza quali e quante cause confluirono a produrre questa mutazione, ma è probabile che a determinarne l’irreversibile trasformazione concorsero vari fattori, tra cui le vicende non certo liete che accaddero in tutto l’impero del 7^ Anello.)
    L’inizio di quello che possiamo definire l’atto conclusivo dell’evoluzione verso forme più elevate, si riscontrò presumibilmente con la morte di Simun V° l’ultimo illuminato imperatore del 7° Anello.
    Infatti non appena sepolto e insediatosi alla guida dell’impero, il suo delfino, (Appartenente ad una delle famiglie più potenti, prepotenti, indisciplinate e riformiste di tutto l’impero) si determinò un cambiamento così radicale da sconvolgere l’intera galassia.
    Sin dal primo giorno in cui la civiltà del 7° Anello aveva visto la luce e fino alla morte di Simun V°, la incontaminata bellezza del mio pianeta e la sua storia, che annoverava splendori signorili e umanistici, lo avevano fatto eleggere quale sede politica, scientifica e religiosa dell’impero, con l’avvento della nuova nomenclatura politica, avvennero molte trasformazioni a causa di leggi, emanate senza alcuna verifica, che seppero soltanto riacutizzare vecchi rancori.
    Il più azzardato di questi ordinamenti, che abrogava ogni libertà di ordine religioso, dette la stura a migliaia di sommosse più o meno violente, ma tutte soffocate nel sangue.
    Con un'altra dissennata normativa, la classe scientifica del mio pianeta, fu estromessa da qualsiasi mansione, relegandola ad una esistenza di vassallaggio fisico e psicologico.
    Con l’avvento del nuovo corso in tutto l’impero iniziò un lungo susseguirsi di rivolte, guerre, invasioni e scorrerie da parte di razze che, con il pretesto della ribellione all'arrogante politica della nuova classe dirigente, si scatenarono principalmente contro il mio pianeta.
    La prima invasione ad opera di una razza di esseri alati, giunse dal profondo spazio e rese in schiavitù il mio popolo fino ad allora vanto di tutto l’impero.
    Probabilmente la ragione di quelle invasioni deve essere ricercata nel fatto che; essendo il mio popolo l’unico ad avere mantenuto le caratteristiche fisiche, mentali e spirituali degli Onn, suscitava risentimenti e timori.
    (Durante il periodo in cui il 7^ Anello poteva essere considerato a ragione il paradiso dell’universo conosciuto, per centinaia di secoli erano stati effettuati studi approfonditi alla ricerca della matrice della vita e soltanto sul mio pianeta erano state rinvenute lievi, ma inequivocabili tracce della presenza degli Onn.
    (Razza riconosciuta come la più antica in senso assoluto e senza alcun dubbio matrice della vita su tutti i pianeti abitati).
    Di loro si conosceva soltanto quanto era rimasto registrato su alcuni cubi, di un materiale sconosciuto, che proiettavano, automaticamente e in tempi prestabiliti, immagini olografiche mostranti il loro aspetto.
    Quei cubi erano stati rinvenuti all’interno di una mastodontica costruzione sepolta ad oltre dodicimila metri sotto la superficie del mio pianeta e narravano la storia di esseri capaci di spostarsi nello spazio e nel tempo con la sola forza della mente e della loro capacità di manipolare la vita controllando la morte).
    Ma se per la mia gente riconoscere in quel popolo la propria identità originaria fu un atteggiamento storico e non una compiacenza, per moltissime altre razze fu motivo di rancori, gelosie e tendenze politiche che, innalzandosi a presunte dottrine di superiorità di razza, sfociarono inevitabilmente nella corsa al controllo di quella nobile stirpe.
    Alla luce di ciò risultò inevitabile che la nuova casta dirigente, onde evitare che altre razze potessero impossessarsi delle potenzialità che avevano posto il mio piccolo popolo nella posizione più prestigiosa dell’impero, si schierò apertamente contro chiunque tentasse di impadronirsi di G, scatenando così l’intolleranza che spinse il 7° Anello verso una guerra che ebbe un costo altissimo.
    Vennero immolate miliardi di esistenze e un numero inimmaginabile di pianeti furono irrimediabilmente devastati in una cruenta lotta che ebbe termine (Circa un millenni più tardi) quando le forze imperiali imposero la loro pace agli esseri alati e ai loro alleati.
    Alla pace sarebbe dovuto seguire un periodo di transizione in cui ogni popolo avrebbe dovuto preoccuparsi di ricostruire ciò che era andato perduto, ma come spesso accade i vincitori adottarono politiche illiberali che innescarono nuovi e gravi motivi di dissenso. I quali, manovrati da abili mani, dettero il via ad altre rivolte più o meno grandi, più o meno violente, ma tutte rivolte contro il mio pianeta.
    Da allora di scorrerie e di invasioni su GAUSS ve ne furono moltissime. E tutte con il loro triste seguito di devastazioni, massacri e annientamenti che ridussero gran parte del pianeta in un luogo sterile.
    Alcune di quelle invasioni furono particolarmente feroci, come quella dei popoli Rurr, che lasciarono traccia nelle leggende e nella grande cisterna della memoria popolare.
    Quella guerra coinvolse più o meno tutti i pianeti appartenenti al 7° Anello, molti dei quali, pur non condividendone i fini politici, si allearono ai Rurr al solo scopo di contrastare il dominio della politica imperiale.
    Gli schieramenti contarono più di duecento milioni di miliardi di esseri di ogni razza che si fronteggiarono con ogni tipo di armamento. E quando la guerra terminò, (Probabilmente a causa dell’esaurimento del materiale bellico) il 7° Anello, stremato e senza più confini, cadde alla mercé di chiunque avesse voluto esercitare un po’ di potere.
    Fu pressappoco in quell’epoca che alcuni popoli nomadi, (Tenutisi sempre a debita distanza dai confini dell’impero) non più frenati dal potere costituito, iniziarono a dilagare e ad invadere ciò che restava dell’impero, accanendosi in modo particolarmente feroce contro G (Ritenuto l’unico responsabile della loro condizione nomade e di ogni altro torto compiuto nei loro confronti)
    Per centinaia di secoli il mio popolo dovette trasformarsi in un popolo di castori e di formiche, ricominciando a riparare le nostre città distrutte dopo che l’ultima scorreria era finita e le rovine ancora fumanti.
    Le sofferenze e principalmente quella esistenza precaria, mutarono la nostra struttura cerebrale trasformandoci da gente semplice e dedita agli studi, in una nuova potentissima razza con spiccati interessi politici e militari.
    In conseguenza del malessere che era dilagato in tutto l’impero, esplosero nuovi contrasti che sfociarono in una nuova guerra totale in cui al mio popolo non restò che subire imposizioni.
    I millenni trascorsi a piangere sulle nostre tragedie avevano cancellato la grande capacità di amare che ci aveva sempre distinti. E perfino la sacra istituzione della famiglia perse ogni funzione, sacrificando tutto e tutti alla ragion di stato.
    L’amore, che prima colmava i nostri cuori, cessò di far parte del nuovo modo d’essere, tanto che perfino il rapporto tra di noi fu improntato e regolato da codici e leggi inflessibili.
    Da allora la vita del 7° Anello si svolse all’insegna della stabilità originata soltanto dallo strapotere della nostra nuova potente razza...
    Ma se il nostro dominio si estese a macchia d’olio perfino oltre i confini della galassia, imponendo ovunque il nostro volere, in realtà non tutti noi riuscimmo ad adeguarsi al nuovo corso.
    Infatti si levarono numerose voci che invitavano a riconquistare il concetto del rispetto e dell’amore.
    Tutto ciò, invece d’indurre il nuovo ordine ad un ripensamento, provocò l’isolamento dei dissidenti, i quali, pur di continuare vivere nel rispetto dei codici Onn, si videro costretti a lasciare il nostro pianeta.
    Ne seguì fu una vera diaspora macchiata di sangue, poiché il nuovo corso, per evitare quelle fughe, adottò pene talmente inumane da giungere perfino alla mutilazione dei lobi cerebrali e della ipofisi.
    Storicamente non è dato conoscere il numero esatto di quanti incorsero nei rigori di quella legge, ma una prudente stima riferisce che furono milioni gli individui catturati e puniti.
    Per la verità neppure coloro che riuscirono ad allontanarsi furono in grado di vantare una vera vittoria, poiché con la patria persero anche le loro identità, giacché ovunque andarono e qualunque tipo di vita contattarono, non furono mai veramente padroni di pilotare i loro destini verso destinazioni liberamente scelte.
    (Notizie riguardanti i gruppi che raggiunsero galassie distanti migliaia di anni luce dal nostro pianeta narrano che nel ciclo di alcuni secoli, in quella gente scomparve quella sorta di indipendenza interiore che ci aveva sempre distinti)
    Tra coloro che in epoche diverse riuscirono ad abbandonare il pianeta, quello che interessa più da vicino la mia storia è l’avventura di un gruppo di uomini e donne che, pur appartenendo alle quattro classi sociali, sembra non fossero in grado di sostenere un contatto cosciente con il "Modulo".
    (La terminologia terrestre definisce con quel sostantivo la misura sulla quale si basano alcune caratteristiche compositive di un’opera d’arte e sebbene nella terminologia del lio popolo la definizione "Modulo" equivalesse ad un concetto pressappoco simile, fu adottato per indicare quell’organo, presente in ogni razza dotata di intelligenza, al cui interno la natura ha provveduto a registrare ogni codice universale e con il quale soltanto pochissimi di noi erano in grado di avere un rapporto incondizionato tramite una particolare emissione energetica prodotta dallo stesso elemento.)
    Il gruppo, utilizzando una nave stellare di costruzione extra GAUSSIANA, si allontanò dal pianeta dirigendo verso il punto conosciuto dalle mappe con la sigla [A].B.S.00.01 e com’era prevedibile furono intercettati da osservatori della nuova federazione, che imposero loro l’ordine di rientro sul pianeta.
    A quel punto, dopo una rapida consultazione, i responsabili della comunità scelsero di non dare seguito all’ordine, ma di rischiare il tutto per tutto in una folle corsa a velocità di fuga, che si concluse quando la nave si addentrò in una galassia non identificata dalle mappe in dotazione.
    Ridotta la velocità i sistemi di controllo iniziarono la ricerca di un sistema stellare che potesse offrire caratteristiche simili a quelle di G e poiché le prime ispezioni evidenziarono che nessuno dei 68 milioni di sistemi dotati di stelle multiple era in possesso di quelle qualità specifiche, fu allargato il campo di osservazione che li portò all’identificazione di una stranezza cosmica, ovvero due minuscoli sistemi periferici, ruotanti attorno a due giovani stelle gialle di media grandezza, che oltre ad essere in opposizione l’uno all’altro, distavano entrambi 33.000 anni luce dal centro della galassia.
    Ma la stranezza superava ogni immaginazione quando si resero conto della loro assurda similitudine
    Infatti non soltanto si rivelarono dotati ognuno di 10 pianeti, ma la loro collocazione astrale era talmente inconsueta da renderli invisibili l’uno all’altro.
    A completare il quadro delle stranezze fu la conferma che soltanto uno di quei venti pianeti sembrava essere in possesso di caratteristiche che avrebbero potuto condurre al sorgere della vita.
    Alla luce di quell’ultima indicazione fu scelto di effettuare analisi più dettagliate e così, dopo un altro balzo a velocità di fuga, che pose la nave in un orbita interna del sistema, collocato a Sud del centro della galassia, (Riferimento ottenuto calcolando la deriva in contrapposizione della collocazione astrale di GAUSS) iniziando il rilevamento dei dati.
    Tra le decine di migliaia di analisi positive sintetizzate dall’elaboratore, soltanto tre risultarono potenzialmente negative, ma tanto bastò a far pendere la bilancia verso una rinuncia alla discesa sul pianeta.
    La prima di queste analisi confermò la differente interazione tra le radiazioni elettromagnetiche e cosmotelluriche prodotte naturalmente dal pianeta, (7,83 hertz) e il sistema bioelettrico dei loro corpi. (Per la precisione, la diversità tra la frequenza dei loro corpi e quella prodotta dal pianeta era di circa + 0,003 hertz)
    La seconda, che segnalava nell’atmosfera del pianeta una percentuale di azoto più alta, rispetto a quella del nostro pianeta avvalorò l’ipotesi di probabili difficoltà al normale sviluppo della loro vita biologica nei primi anni della crescita.
    La terza, che tra l’altro registrava una temperatura media dell’aria (A livello del mare) di circa 8/ya (Pari a 18\20 gradi centigradi terrestri) più elevata delle zone abitate del mio pianeta, (Questa situazione venne presto modificata quando i sistemi automatici, allineati su comparazioni rimodulate, identificarono nell’emisfero Nord del pianeta alcune zone in cui la temperatura scendeva fino a raggiungere i livelli pressappoco identici a quelli ai quali erano abituati i loro corpi) in pratica determinò la rinuncia definitiva al pianeta quando fu definita l’ingente quantità di acqua di cui disponeva il pianeta.
    (È bene ricordare che nelle zone abitate del pianeta GAUSS, tutte situate ad altitudini varianti tra i 6/8 mila metri di quota, l’acqua era conosciuta sotto il suo aspetto solido o al massimo poteva essere osservata nei bacini di raccolta, che se pur vasti, non superavano superfici superiori ai 4/5 mila metri quadrati)
    Ma quando era ormai tutto predisposto al nuovo balzo, accadde qualcosa che modificò la situazione.
    (Gli elementi in mio possesso non chiariscono la causa che determinò quella decisione, ma è probabile che fu la conferma che sul quel pianeta aveva avuto inizio la vita, partorendo un umanoide dal portamento eretto e molto vicino al nostro metabolismo, dovette sconvolgere un po’ tutti)
    E tanto bastò perché i sistemi stazionassero la nave in un orbita di parcheggio attorno al pianeta.
    Dal giorno di quella scoperta trascorsero decine di mesi in confronti e analisi sui pro e i contro e alla fine fu deciso che la nave avrebbe proseguito il viaggio.
    Ma era destino che non dovessero allontanarsi dalla Terra, poiché nell’istante in cui la nave fu pronta al lancio in una traiettoria che l’avrebbe condotta verso la periferia della galassia, si verificò l’unica circostanza in grado di porre la parola fine alla prima parte della nostra odissea. Ovvero l’entrata in stallo del sistema di propulsione.
    (Non vi sono prove certe che possano affermalo, ma un antico documento risalente ai tempi dell’esodo, riferisce di alcuni casi in cui fu verificata una caduta energetica del propellente – URTHORIO – addebitandone la causa ad alcuni agenti, non identificati, ristagnanti nell’atmosfera di pianeti molto giovani)
    Ovviamente l’impossibilità di disporre di altre riserve di propellente (Forse anche a causa di una certa stanchezza psicologica) convinse il governo della comunità, composta ormai di ventimila unità, a programmare una immediata discesa sul pianeta dove erano state rilevate più evidenti le caratteristiche proprie del sistema di vita umana. E quando finalmente l’enorme nave si posò sul suolo di una immensa isola posta al centro d’un vasto oceano, il nostro viaggio ebbe termine.
    Altri documenti magnetici, rinvenuti nella città segreta, descrivono quel sito come una delle poche aree disabitate del pianeta, ma l’unica nelle cui viscere fosse stata rilevata la presenza di una modesta quantità di una sostanza gassosa (Alla quale fu attribuito il nome di Helios_3.2) in grado di alimentare l’ultimo impianto funzionante per la produzione di energia subatomica stabile.
    Su quell’isola, che occupava un vasto spazio dell’emisfero Nord tra il continente europeo e quello americano, (Oggi parte della Dorsale Media Atlantica) e alla quale fu assegnato il nome di YOYKOS, (Definizione che nell’antico lessico G può assumere vari significati tra cui casa, frontiera o addirittura nome di persona se sull’ultima vocale cade un accento cupo) edificarono la nostra prima città utilizzando gran parte delle strutture della nave stellare.
    Mentre sull’isola si verificavano i fatti appena narrati, a qualche migliaia di chilometri di distanza, (Su quelli che sarebbero poi divenuti il continente Eurasiatico e Africano) gli scarsi indigeni che lo abitavano erano così duramente impegnati a sopravvivere tra difficoltà di ogni genere, che forse non ebbero il modo di accorgersi della discesa dal cielo di una sfera incandescente.
    Interpretando liberamente altri documenti, si ritiene (Ma la notizia non è confortata da prove) che negli anni che ebbero a seguire, alcuni di quegli indigeni (Si suppone possa essere avvenuto casualmente) vennero in contatto con la nostra civiltà che visse e prosperò sull’isola per millenni.
    (Forse si trattò soltanto di un caso, ma il fatto che dopo un viaggio di migliaia di anni luce quella nave fosse stata costretta ad atterrare sul pianeta Terra, imponendo così a ventimila miei confratelli l’habitat terrestre e considerando inoltre quale orientamento presero gli eventi successivi, si ha l’impressione che qualcuno desiderasse che tutto ciò accadesse.)
    Trascorsero i millenni, ma se a causa delle civiltà contattate il mio popolo sparso in altre parti dell’universo non si resero mai veramente conto di perdere il concetto di patria e i ricchissimi contenuti delle nostre memorie, agli esuli sulla Terra accadde l’esatto contrario, poiché non soltanto mantennero vivi gli usi, le tradizioni ed ogni altro ricordo della loro patria, ma nacque in loro fortissima la vocazione del ritorno.
    Con il tempo quegli stessi esseri pelosi che popolavano la Terra all’epoca in cui scese il mio popolo, acquisitarono la coscienza delle loro maggiori attitudini rispetto alle altre razze viventi sul pianeta, progredirono fino configurare quella società che oggi governa le esistenze di questo pianeta.
    Sfortunatamente non esistono testimonianze in grado di chiarire i reali motivi che determinarono l’abbandono dell’isola di YOYKOS, (Di cui oggi non vi è più traccia) ma se è certo che una volta lasciata l’isola il mio popolo si mescolò alle popolazioni indigene sparse su quasi tutti i continenti, il rinvenimento casualmente di un documento lascia supporre che circa 7600 anni fa, (Subito dopo l’ultima era glaciale) forse a causa dell’enorme massa d’acqua, dalla forza spaventosa (Pari a dieci mila cascate del Niagara) che si riversò nell’oceano Atlantico e quindi nel Mediterraneo, il livello dei mari si innalzò di alcune centinaia di metri sommergendo la grande isola assieme a gran parte del continente eurasiatico e quello medio orientale.
    (Lo stesso documento, riferendo che questa situazione ebbe a protrarsi per oltre seicento giorni, lascia che alla mente torni il ricordo di due eventi che appartengono all’immaginario dell’intera umanità; il diluvio universale e la leggenda mitologica di Atlantide. Ed è alquanto strano che l’abbandono di YOYKOS sia coinciso con la scomparsa di Atlantide dalla faccia della Terra.)
    L’unico dato certo di cui si dispone è che il mio popolo, una volta lasciata l’isola, si unì, nel rispetto dei loro codici morali, alle popolazioni indigene senza mai interferire (Tranne una o due volte) in quello che fu il naturale sviluppo della società terrestre.
    Uno degli ultimi gruppi che lasciarono YOYKOS, trascinandosi dietro quanto erano riusciti a salvare della nostra civiltà, raggiunse (Dopo un viaggio di alcune decine di anni attraverso il continente europeo e il nord America) la parte meridionale del continente americano, dove, in un oasi inaccessibile di una valle del fiume Popuri, (Zona che alcuni millenni più tardi sarebbe divenuta la frontiera tra il Brasile e la Columbia) vi edificarono una nuova città, che, protetta dai nostri poteri e da un alta tecnologia, non fu mai rintracciata. (E da quanto mi è dato sapere deve essere ancora li)
    Nei primi anni del sedicesimo secolo, la mia gente dette vita ad un progetto che offrì, ad ogni discendente del appartenente al mio popolo, la possibilità di riunirsi in un gruppo omogeneo per dare inizio ad un piano che prevedeva il ritorno su G.
    Naturalmente, per evitare che ciò potesse creare imbarazzo, fu lasciato ai singoli la scelta della decisione.
    Quella soluzione evitò un nuovo e doloroso esodo e quando alcuni decenni più tardi le porte della città segreta si chiusero alle spalle dell’ultimo GAUSSIANO che aveva accettato di farne parte, (I residenti non superavano le centomila unità) iniziò la realizzazione del progetto “Ritorno”.
    Sebbene le nostre menti esprimessero ancora imponenti capacità, l’ambizioso progetto, che prevedeva la realizzazione di un amplificatore di segnali neuronici, capace di raggiungere i confini di G, doveva considerarsi di proporzioni gigantesche considerati i problemi tecnologici da risolvere.
    In pratica si trattava di realizzare una struttura di dimensioni ridotte, ma in grado di elaborare migliaia di milioni di operazioni.
    Il primo problema fu di selezionare una équipe capace di decifrare codici ormai quasi dimenticati.
    Il secondo fu di rintracciare, negli archivi mnemonici dei singoli abitanti la città, ogni notizia relativa all’esatta collocazione astronomica di GAUSS.
    Per questo compito vennero costituiti gruppi di ricercatori della scienza dell’anima, (Secondo l’etimo greco) i quali, possedendo un notevole vantaggio rispetto agli studi che in seguito avrebbero guidato Gustav Fechner, Binet e Plavlov, seppero svincolare la ricerca dalla filosofia da tutte le ipoteche metafisiche.
    Da allora trascorsero lunghi anni di studio e sacrifici durante i quali il progetto iniziò a prendere forma, ma quando giunse il momento di sottoporre il progetto al collaudo finale e ciò si verificò la notte del 10 Agosto del 1916, mentre i popoli della Terra si confrontavano in una atroce guerra, tutto quel gigantesco apparato cessò di avere importanza nell’istante stesso in cui l’amplificatore intercettò un segnale energetico di un laboratorio automatico G, il quale, penetrato nell’ammasso stellare contraddistinto dal sigla [Y]S11.10A3.A, (In parole povere la Via Lattea) stava effettuando rilevamenti di carattere scientifico.
    Da quel preciso istante, tra la città segreta e il laboratorio automatico, iniziarono operazioni di interfacciamento che richiesero la realizzazione di nuove tabelle comparative e l’evoluzione di nuovi linguaggi concettuali.
    A risolvere definitivamente il problema fu il laboratorio, il quale, rivoluzionando un sistema binario nel quale concatenò calcolo differenziale e frequenze musicali, consentì alle due parti un’intesa prossima al 100%.
    Tramite quel codice gli abitanti della città riferirono a G la loro storia e il desiderio di rientrare in patria. Ma com’è facile immaginare, quel messaggio creò reazioni talmente diverse da suggerire al C. di R. l’invio sulla Terra di una risposta che, pur prevedendo una operazione di rientro su G, in pratica ne condizionava l’attuazione alla elaborazione di un progetto da mettere a punto.
    In realtà le cose presero una piega assai diversa, poiché il Consiglio di Reggenza programmò l’inserimento di una stazione artificiale nell’orbita di un pianeta (Il gemello della Terra) la cui posizione astrale, diametralmente opposta a quella della Terra rispetto al sole, lo rendeva assolutamente invisibile e dal quale alcuni osservatori scesero, inosservati, sul nostro pianeta per analizzarne ogni aspetto.
    Dalla notte in cui si realizzò il primo contatto, trascorsero venti anni prima che G riprendesse i contatti con il pianeta Terra e fu allora che gli esuli seppero quanto era accaduto al pianeta dei loro padri. (Ma nessuno disse loro che quelle notizie erano ampiamente incomplete)
    (Fin qui sono state riportate notizie, attinte dagli archivi della città segreta, riguardanti la storia del pianeta G e di coloro che scesero sulla Terra. Ciò che segue sono appunti estratti dalla relazione trasmessa da G alla Terra il 19 Giugno 1939; inizio trasmissione ora terrestre 07,30)
    Quei mutamenti verificatisi nella loro indole li aveva stimolati a riconquistare ciò che era stato l’impero del 7° Anello e seguendo una nuova logica dominante, fu riplasmato e suddiviso in federazioni asservite ad un potere centrale.
    E fu proprio quella capacità di guida che fornì l’alibi per la fondazione di un nuovo movimento politico – religioso – culturale, che predicando il totale abbandono della cultura Onnica, alla quale veniva addebitata ogni responsabilità per quanto aveva subito la loro razza, rese potente la nuova struttura sociale.
    Certamente in epoche precedenti tutto ciò non si sarebbe potuto verificare, ma quel nuovo potente ego che ormai li dominava, seppe trasformare il fantasma del loro inconscio collettivo da figura astratta e perdente, a figura concreta e vincente.
    Da allora la nazione crebbe e si rafforzò grazie ai nuovi poteri e ad una nuova arma. (Mai citata nei rapporti inviati alla Terra e che in seguito causò loro grossi guai.)
    Per la verità, quella che abbiano appena definito arma, per sua stessa natura risultava essere assolutamente aliena a quanto fino ad allora era stata concepito con quel termine. Ciò nonostante, in qualsiasi modo la si volesse definire, in pratica si basava su tre sole caratteristiche
    I^ Non ammetteva per principio la sconfitta.
    II^ Era assolutamente fedele.
    III^ Era irragionevolmente crudele.
    Contro quell’arma fallirono tutte le difese conosciute e da quando iniziò ad operare, i circa duecento milioni di sistemi solari facenti parte del 7° Anello, furono riplasmati e modificati secondo schemi elaborati dalle menti di GAUSS.
    (Ciò che segue è la sintesi di alcune relazioni di cui non è mai stato possibile attribuirne la paternità)
    A dispetto dell’ordine imposto dal nuovo corso, non tutti i G si mostrarono favorevoli al rientro di quel gruppo di barbari della Terra, (Quell’aggettivo fu utilizzato quando si conobbe essere di oltre un milione di secoli il ritardo che separava le due civiltà) e ciò fu sufficiente a dar vita a due tendenze; i favorevoli al rientro e i contrari.
    I favorevoli (La minoranza) giustificavano la loro scelta con la possibilità che in quel popolo fosse sopravvissuto lo spirito onnico.
    I contrari invece ne davano per scontata l’immaturità, addebitando loro la responsabilità d’aver già, con la loro richiesta, indebolito lo stato forte.
    Oltre alle due suddette fazioni esisteva un’altra frangia politica, (Che potremmo definire occulta, ma in grado di controllare parte dei componenti del Consiglio di Reggenza) la quale, ravvisando la possibilità di realizzare l’antico progetto di portare su G individui di sesso femminile, (Con l’evidente scopo di dare nuova linfa alla razza) non tardò ad attivarsi.
    Ma poiché tra le due fazioni ufficiali si accesero contese che durarono anni, (Senza mai raggiungere un vero accordo) fu deciso il ricorso ad un plebiscito che, ben pilotato della frangia occulta, (Tutto l’universo è paese) condusse i favorevoli verso una schiacciante vittoria.
    In conseguenza di ciò, ascoltato il parere dei Sistemi di programmazione e del consiglio, il Reggente suggerì d’inviare sul pianeta Terra l’unico essere in grado di mantenere nel tempo l’aspetto fisico.
    La scelta di quell’essere, ovvero me medesima, (Tenuta lontano da GAUSS a causa della mia nascita, avvenuta in conseguenza di un rapporto fisico non autorizzato tra due esseri di sesso diverso) pur essendo in realtà l’unico essere ad avere buone possibilità di inserirsi nella struttura sociale terrestre, (Dove la procreazione avveniva ancora per effetto di rapporti sessuali tra maschio e femmina) scatenò una nuova battaglia silenziosa. Ovvero; i contrari riuscirono ad inserire nel programma potenti segnali di disturbo al fine di far fallire la missione, i favorevoli, preoccupati che la scelta del viaggiatore potesse compromettere l’esito della missione, (A causa della sua natura) pretesero l’innesto, nel programma di base, di pregiudiziali limitative.
    Gli unici a non partecipare apertamente a quella bagarre furono i componenti della frangia occulta, ma che comunque inserirono i loro ordini nel programma.
    In poche parole, chi per un motivo e chi per un altro, nessuno condivise la scelta d’inviare me sulla Terra, trannQuel temutissimo essere dalle sembianze umane, ossia me medesima, giudicato pericoloso dall’etica del mio popolo, non era altri che una cuccioa di otto anni di età dal nome piuttosto insolito. (Il nome mi era stato impresso sull’addome da mia madre subito dopo la nascita)
    Io ero il risultato di un rapporto sentimentale (Tanto raro quanto vietato da severe leggi) di due esseri, i quali, non desiderando avere un figlio manipolato dai Sistemi di Controllo, disobbedirono e, riacquistato segretamente l’aspetto fisico, si unirono in un rapporto sessuale da cui ebbe origine il concepimento.
    Mia madre morì di parto, mentre mio padre, delfino designato alla sostituzione del Reggente, scampò alla pena prevista dalle leggi.
    Quanto a me, non appena fui rintracciata tra le braccia di mia madre morente, venni consegnata alla legge e sottoposta ad un sommario processo, dal quale ne scaturì l’inevitabile condanna alla soppressione.
    Condanna che non fu eseguita per il semplice motivo che qualcuno rispolverò una norma di attuazione della stessa legge, (Della quale si era persa memoria, ma mai abrogata) la quale negava il consenso giuridico alla soppressione di un essere vivente, se non dopo aver raggiunta l’età per comprendere le motivazioni della sentenza.
    Dal momento che per rendere esecutiva la sentenza sarebbe dovuto trascorrere un tempo considerevole, il Consiglio di Reggenza deliberò che fossi addestrata e assegnata a svolgere quei compiti non propriamente legati all’etica Onnica.
    La vera ragione di quella scelta, (Ovvero tenermi il più lontana possibile dal mio pianeta) non fu soltanto la conseguenza della mia nascita innaturale, ma principalmente per il timore che suscitò quando fu chiaro che oltre ad essere in possesso di nuove ed elevate capacità mentali, disponevo di potenzialità energetiche tali da sovvertire ogni legge universale conosciuta.
    Compatibilmente con quanto riportato dagli innumerevoli rapporti pervenuti dal pianeta Terra, per la mia missione fu realizzato un programma di tipo KE. (Programma che prevedeva l’adattamento psico/fisico per ognuno degli stati comportamentali e mentali previsti nella società terrestre)
    Tra le innumerevoli informazioni che mi furono registrate nella mente, spiccava il pericoloso esponente N (Introdotto segretamente dal gruppo dei contrari alla missione) al quale era stato assegnato, tra l’altro, il compito di rendere impossibile la rimozione automatica dello status di base. La qual cosa non soltanto mi avrebbe causato dolori fisici di notevole entità, ma avrebbe generato nel mio subconscio una seconda pericolosissima personalità che si sarebbe contrapposta alla prima.
    Infine la frangia occulta registrò nella mia mente un secondo programma, (Inaccessibile ad ogni chiave di lettura) il quale, oltre che utilizzare la mia stessa energia vitale, (Energia modulata) con lo scopo di scompaginare i piani dall’esponente N, al compimento del diciottesimo anno di età mi avrebbe imposto di condurre sul mio pianeta le sole femmine in possesso dei requisiti previsti da alcuni test predeterminati.
    Ignara di quanto stesse accadendomi, mi preparai diligentemente sostenendo migliaia di analisi ed ogni altra terapia prevista dalle procedure e quando finalmente i miei tormenti ebbero termine e fui ritenuta pronta ad essere trasferita sulla Terra, mio padre, il Reggente, chiese di vedermi.
    Trascorsi nella casa di mio padre (Edificata sulla montagna più alta del pianeta) sei giorni e sette notti, ma di cosa ci dicemmo o facemmo nessuno ha mai avuto notizia, nemmeno io.
    A proposito di quell’incontro nacquero un’infinità di leggende che (Alcune delle quali veramente fantasiose) indicavano in me l’ultimo discendente degli Onn.
    Naturalmente si tratta soltanto di fiabe, ma ciò che sembra degno di attenzione è la storia nella quale si narra che quando lasciai quella casa, nella mia mente vi fossero tre programmi.
    La leggenda prosegue riferendo di una profezia, incisa sulla parete della montagna, che avrebbe previsto che se qualora in me si fossero verificate determinate ricorrenze, quell’ultimo programma mi avrebbe aiutata ad opporre una valida barriera ai crudeli effetti dell’esponente N e a quanto disposto dalla frangia occulta.
    Per concludere sembra doveroso riferire di una annotazione, rinvenuta a piè di pagina di un documento d’incerta provenienza, che facendo esplicito riferimento alla menzionata predizione chiude con una considerazione;
    “...ma affinché quest’eventualità possa concretizzarsi, la ragazza dovrà avvalersi di uno strumento forgiato di un insieme di fattori morali, spirituali e intellettuali; qualità che all’atto del trasferimento sulla Terra risultano essere totalmente estranei al suo ego GAUSSIANO.”
    Ed ora eccomi qua… sarò capace di condurre in porto il progetto che mi è stato affidato?
  15. .




    I miei inverni in Vermont - by vert

    ...giungevano in silenzio,
    un giorno dopo l'altro,
    e mentre attorno tutto si assopiva,
    io vivevo intimamente il suo arrivare.

    Dapprima era l'aria a perdere il tepore,
    poi il mattino che tardava a farsi chiaro,
    gli echi della valle che smarrivano il vigore,
    e le sere che invitavano al riparo.

    In cielo a volte si accendeva un lampo,
    oppure sulle cime brontolava un tuono.
    Di lontano qualche temporale
    e alla sera sempre un po' di vento.

    Ma quando lui arrivava guidando il carro bianco,
    era come se il mondo intero volesse riposare.
    E lei, mamma neve,
    silenziosamente ammantava la mia valle.

    Quella era l'ora degli addii ai campi riarsi al sole,
    agli aceri infuocati e alle corse folli,
    ai canti a viva voce
    e ai giochi nella valle.

    Vivevo un mondo un po' bambino
    in cui la vita non cambiava.
    Come al solito
    non c'era un'ora dell'intero giorno,
    che non avessi un compito da fare.

    All'alba nella stalla ad accudire agli animali,
    mungere le mucche,
    poi fuori a tagliar legna
    o nel fienile a sistemar le balle.

    Riparare gli steccati
    o rinforzare i tetti per la neve.
    Le animali lungo i pascoli
    e poi rifare i letti.

    Ramazzare un po' le stanze,
    poi al torrente col bucato,
    il pane da infornare,
    preparare da mangiare.

    Senza dire delle serre,
    dove c'era da estirpare,
    trapiantare, raccogliere,
    pulire ed irrigare.

    Pomeriggio rammendavo
    i miei maglioni,
    i calzini,
    i pantaloni e le camice di mio padre.

    A volte le stiravo recitando Shakespeare,
    e a volte,
    (mi vergogno a confessarlo)
    sognando d'essere Giulietta.

    Nei giorni in cui la neve non dava moto al passo
    perfino piatti nuovi provavo ad inventare.
    Provavo e riprovavo,
    ma la zuppa non cambiava.

    Mondo nuovo in cui tutto mai mutava.
    L'aria, la terra,
    ma soltanto con le letture
    il mio spirito volava.

    Anche la casa,
    con le letture mutava nell'aspetto
    e il suo bel colore
    sgargiava più che mai
    nel bianco della neve.

    E lei,
    sentendosi più usata, grata,
    per quel sentirsi amata,
    ci fasciava donandoci calore.

    Gli aromi dell'estate restavano in soffitta,
    raccolti fra pannocchie, mele,
    grosse zucche appese
    e mazzolini di profumi negli armadi.

    Non più fiorellini di lavanda,
    muschio o biancospino rallegravano la casa,
    da allora dominava l'odore del camino,
    inconfondibile, pesante e gradevolmente vivo.

    Il fumo della griglia
    inzaccherava i muri,
    i mobili, i vestiti...
    ed anche un po' di sopra se ne sentiva traccia.

    Poi, a sera,
    nei momenti miei,
    cedevo alla lettura
    e alle chiacchiere infinite con mio padre.

    Non si usciva,
    (ma chi ne aveva voglia!)
    ce ne stavamo in casa
    davanti al fuoco del camino.

    Lui,
    mio padre,
    il mio grande amore,
    fingendo una lettura
    a volte dormicchiava mordendo la sua pipa,

    ed io,
    sdraiata sulla schiena con un libro in petto,
    abbracciavo soffio
    sognando i miei tramonti, i cieli colorati,
    Brontolo, Pinocchio e Rikki–Tikki–Tavi.

    Indimenticabili sere degli inverni miei,
    com'era dolce udire le faville schioccare nel camino
    mentre le inseguivo su, nell'antro,
    verso il cielo, smaniosa di volare in loro compagnia.

    Quanto silenzio,
    quanta pace,
    quanto amore,
    quanto lavoro...
    …ma che gioia vivervi,
    inverni miei!

    Ciao!
1520 replies since 18/10/2009
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